Plaza de Mayo: una storia che ci riguarda

I trentamila desaparecidos argentini, scoparsi tra il 1976 e il 1983, ci riguardano. E’ il messaggio lanciato da Vera Vigevani Jerach,  una delle madri di questi ragazzi scomparsi,  che ha partecipato all’incontro organizzato dal Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale della Sapienza, mercoledì 13 giugno presso il centro congressi di ateneo in via Salaria 113.
La parola alla storia. Dopo un breve intervento del vice presidente della camera, Rocco Buttiglione e dei vari docenti presenti all’incontro, Antonello Biagini prorettore alla cooperazione e alle relazioni internazionali, Roberto Pasca di Magliano preside dell’area didattica in Scienze dello sviluppo e della cooperazione internazionale , Luciano Vasapollo delegato per i rapporti con i paesi ALBA (Alleanza Boliviana per le Americhe n.d.r), la parola l’ha presa la storia. E’ stato proiettato il corto “La sirena” di Daniele Cini, un flash sulla vicenda dei desaparecidos gettati nell’oceano, spariti negli abissi come gli undicimila migranti morti in mare agli inizi di questo secolo mentre cercavano un posto in cui vivere. “I loro corpi sono ancora là. E’ una storia che ci riguarda.”E’ la frase finale del video, ed il perché è chiarito dalle parole di Vera Vigegani Jerach che continua a lottare perché quei ragazzi non spariscano anche dalle nostre coscienze.

Militante della memoria. Così si definisce Vera, che ha affrontato due dittature, quella fascista che l’ha costretta a fuggire dall’Italia nel ‘33 e quella della dittatura militare argentina che le ha portato via sua figlia. Franca, appena diciottenne è sparita nel giugno del 76. Vera, si unisce alle madri che come lei chiedevano notizie dei figli scomparsi al governo, che ovviamente non le ha mai ascoltate. Insieme fondano l’associazione Madras de Plaza de Mayo e da allora ogni giovedì si riuniscono in quella piazza, di fronte al palazzo presidenziale per chiedere verità e giustizia. “Non siamo delle eroine, all’inizio abbiamo agito per istinto materno, per salvare i nostri figli. Solo dopo è venuto l’impegno civile”. Proprio grazie a questo impegno si è rotto il muro di silenzio, anche quello dei mass media internazionali che per anni le hanno ignorate. Iniziano i processi, vengono ritrovati alcuni corpi. Non tutti, non quello di Franca, probabilmente vittima di uno dei numerosi voli della morte, con cui i militari si sbarazzavano dei prigionieri torturati, gettandoli in mare ancora vivi. Ma continuare a raccontare serve perché tutto ciò non si ripeta e per questo Vera visita scuole argentine e italiane portando la sua testimonianze alle nuove generazioni che la fanno sperare “i giovani ascoltano e capiscono che la democrazia è il miglior sistema di convivenza. Non perfetto ma perfettibile grazie all’impegno di tutti.” Guarda con speranza al futuro perché ora finalmente “molti paesi dell’ America latina hanno iniziato un nuovo corso nel rispetto dei diritti umani e i giovani si sono riavvicinati alla politica, quella sana. Di fronte alle atrocità che hanno caratterizzato il Novecento ma anche i primi decenni di questo secolo, sento nascere una nuova umanità che mi fa sperare in un mondo migliore”.

Diplomazia della memoria. Presente all’incontro anche Carlos Cherniak ministro Argentino per i Diritti umani “la scelta di parlare di questa tragedia è una scelta politica, di democrazia che l’Argentina ha voluto fare perché trenatamila persone non sono state ritrovate, come i quattrocento bambini figli di desaparecidos, che le loro abuelas (nonne n.d.r) stanno ancora cercando. Negli anni settanta la metà della popolazione argentina aveva sangue italiano, quindi molti di loro potrebbero essere vostri concittadini. Sono già stati condannati in contumacia proprio in Italia, dei militari responsabili delle sparizioni di alcuni italiani che vivevano in Argentina ” C’è, ad esempio la storia di Horazio Pietragalla oggi deputato, figlio di desaparecidos che ha ritrovato le sue vere origini argentine e italiane grazie alle Abuelas di Plaza de Mayo. Queste donne dopo aver perso i figli, cercano i nipoti a cui sono stati sottratti i genitori e l’identità. Il ministro fa poi un escursus storico sulla dittatura che lui definisce “civico-militare per il coinvolgimento di altri poteri, come quello economico ma anche degli Stati Uniti, potenza egemonica di quegli anni. Le dittature nascono anche da paesi liberi, come è stato per l’Argentina, perciò la società deve essere sempre attenta e vigile e ricordare le sue tragedie. Molti paesi tendono a non parlarne  perché una volta trovata la verità, bisogna fare giustizia. Per noi invece, una democrazia è forte solo quando non nasconde queste tragedie, e sa fare giustizia sempre nel rispetto dei diritti fondamentali. Infatti solo coloro di cui è stato possibile provare le colpe sono in carcere. I militari di cui si conoscono le responsabilità ma non si hanno le prove, sono ancora liberi. Questa è una democrazia.”

Vera porta in testa il foulard bianco simbolo delle madri di Plaza de Mayo, con il nome e la data di sparizione di sua figlia. Perché tutti conoscano e nessuno dimentichi.

 

Martina Amendola
(14 maggio 2012)