In occasione del diciannovesimo compleanno della manifestazione culturale “Roma Incontra il mondo”, la splendida cornice del laghetto di Villa Ada ha ospitato il concerto dei Madredeus, storico gruppo musicale portoghese che combina le influenze del fado con la musica folk moderna. La serata è stata inoltre l’occasione per presentare “Essencia”, ultimo album dell’ensemble iberica, ideato per coronare venticinque anni di successi e destinato a raccogliere ampi consensi a livello internazionale. Aspettando quelli di Vienna, Lussembrgo, Brema, Amburgo e Berlino, nel frattempo la storica band di Lisbona incassa gli applausi scroscianti del caloroso pubblico romano.
“L’attesa è il prologo dello spettacolo”, diceva Shakespeare. La lungimiranza del poeta inglese è forse la migliore descrizione dell’ora antecedente il concerto. Il pubblico, accorso in massa, si accalca ordinatamente nei pressi dell’entrata fin dalle 21.00, nonostante siano tutti consapevoli che il loro udito non verrà appagato prima delle 22.00. Dai loro volti traspare curiosità e trapela ansia. “E’ da anni che aspetto questo concerto! Si può dire che i Madredeus siano stati la mia seconda religione!” ammette Anna con uno slancio di entusiasmo. La calca sorprende persino gli organizzatori dell’evento, preoccupati della gestione, ma felici per l’esito positivo dell’iniziativa. Verso le 21.40 un gruppo di ragazze si fa portavoce dell’impazienza collettiva e comincia ad intonare, neppure troppo timidamente, versi di canzoni appartenenti ai primi album del gruppo, quali Existir, Lisboa, ed Euforia. Si capisce subito che l’intonazione non è il loro forte, ma è sufficiente a scomodare le corde vocali degli altri spettatori.
Il concerto inizia con qualche minuto di ritardo. Peccato veniale subito surclassato dal bagno di folla con cui vengono accolti i Madredeus alla loro entrata sul palco. Per più di un’ora i violini di Jorge Varrecoso e Antonio Figuereido, la chitarra di Pedro Ayres Magalhaes, la tastiera di Carlos Maria Trindade, il violoncello di Luis Clode e soprattutto la calda voce di Beatriz Nunes scaldano i cuori e gli animi delle persone presenti, rapite, o per meglio dire estasiate, da questa musica avvolgente ed ipnotica, soave e melodica, sempre in bilico tra tradizione portoghese e moderna world music, in un melànge sonoro di ampio respiro e grande raffinatezza. Come ogni gruppo che si rispetti i Madredeus sanno toccare, con estrema delicatezza, tutti i sentimenti più puri dell’animo umano, dall’amicizia all’amore, dal dolore alla gioia di vivere, e trasmetterli con una forza emotiva senza uguali. A testimoniarlo basterebbero i sorrisi e le lacrime che nello stesso istante dipingono le espressioni ed i sentimenti di un pubblico quanto mai eterogeneo, ma accomunato dalla passione per la “grande” musica.
Saudade. A concerto finito le luci del palco si spengono, si accendono quelle del backstage. I Madredeus sono seduti in cerchio. Sembrano soddisfatti, ridono, scherzano, decidono di brindare per la loro performance. I fan implorano autografi, i fotografi fanno a gara per la migliore foto, gli organizzatori chiedono pazienza, gli stuart intimano ai giornalisti di indietreggiare. In questo clima bellico appare come una visione paradisiaca Beatriz Nunes che concede semi-risposte a semi-domande. La completezza dell’intervista viene minata dai buttafuori che ripetono in continuazione “State indietro, indietro…”. La solista femminile ha però la possibilità, alla fine, di chiarire il concetto di saudade, da lei considerato la musa ispiratrice dei Madredeus: “La saudade è la cultura portoghese dell’attesa, ma anche della speranza. Che cosa è la vita se non continua attesa e speranza? Io la rappresento come Penelope, donna solitaria in perenne attesa del suo uomo, ma fiduciosa un giorno di poterlo riabbracciare. Anche i nostri concerti sono basati sulla saudade: la donna solista sempre un po’ scostata dal gruppo, nella speranza però che la musica possa ricongiungerla agli altri, ai suoi amori, ai suoi affetti”.
Al termine della serata la zona del laghetto resta deserta. Quello che rimane però è un arricchimento personale, non tanto di tipo culturale, quanto piuttosto emotivo e “spirituale”. Se nel silenzio notturno di Villa Ada si chiudono per un attimo gli occhi, ancora si possono sentire le canzoni dei Madredeus che, con la loro musica evocativa, sembrano catapultarti nei vicoli e nei locali di Barrio Alto, cuore della vita notturna di Lisbona nonché quartiere d’origine del gruppo. E se si compie un ulteriore sforzo di immaginazione, proprio in quegli anfratti si scorgerà Antonio Tabucchi. Anche lui sosterrebbe i Madredeus.
Adriano Di Blasi
(20 luglio 2012)