Associazionismo straniero: strumento anticrisi

Dalla copertina della ricerca presentata

Tra austerità e crisi, in un periodo in cui la coesione sociale e le risorse economiche sembrano contrarsi, come aumentare l’integrazione dei milioni di stranieri – si calcola 6 milioni includendo gli irregolari – ,  ormai sul territorio italiano, diminuire fenomeni di marginalità e conflitto  e al contempo ottimizzarne potenzialità irrinunciabili tanto per la loro piena espressione ma anche per gli autoctoni ? Secondo i sociologi Giuliana Candia e Francesco Carchedi parte dell’Associazione Parsec Consortium, sicuramente puntando anche sull’associazionismo, anche quello straniero. È loro l’indagine condotta nel 2011“Risorse di cittadinanza. Le associazioni di immigrati tra vincoli e opportunità” presentata il 5 luglio alla Camera dei Deputati e disponibile in creative commons.

I perché. Come spiega l’indagine stessa è stato messo in evidenza “come le associazioni degli immigrati debbano essere considerate come delle micro agenzie territoriali d’integrazione. È necessario valorizzare maggiormente il loro ruolo di collettori o serbatoi di saperi, di talenti o di competenze nell’attivare collegamenti funzionali tra componenti immigrate e autoctone della società. Queste realtà agiscono infatti sia all’interno che all’esterno degli specifici gruppi nazionali dai quali nascono ed entro cui si sviluppano, e dimostrano ogni giorno le capacità di promuovere azioni dirette allo sviluppo umano e interventi che riguardano lo sviluppo infrastrutturale locale e, in prospettiva anche nazionale.” Insomma “queste associazioni dovrebbero rappresentare dei regolari interlocutori dei distretti sociosanitari integrati a livello territoriale per gli interventi in favore degli immigrati”

I criteri dell’indagine. La ricerca oltre a compiere una ricognizione di problematiche che si possono considerare a carattere generale e nazionale, ha preso in considerazione tre studi di caso territoriali: nelle regioni Lazio, Emilia Romagna e Calabria, e in specie tre comuni, Latina, Reggio Emilia, Cosenza. È qui che si sono focalizzate rilevazioni dirette, mentre per la panoramica generale si sono elaborati o dati di registri regionali o nazionali di associazioni – fondamentale in tal senso il data base del Cesv, Centro Servizi per il Volontariato. Quest’utlimo organismo istituito con la L. 266/91 col fine di proprio di sostenere e promuovere l’associazionismo e il volontariato è tra gli enti del privato sociale che più ha fatto da sponda per l’attivazione straniera.La tipologia di associazioni prese in considerazione sono sia quelle cosiddette “etniche”, composte da una sola comunità straniera o da più comunità insieme, sia quelle che vedono autoctoni italiani e stranieri cooperare. La forma giuridica scelta, se non si tratta come pure è possibile di gruppi informali, è quella delle Odv, Organizzazioni di volontariato, e quella di Aps, Associazioni di promozione sociale.

Problematiche generali. Si parte dal primo dato che è la forte scollatura tra associazioni realmente presenti nel panorama italiano e le sole 909 che sono risultate rilevabili a mezzo di registri e tramite il Cesv stesso. Possiamo stimare questa “come la punta dell’iceberg rispetto alle reale presenza e attività nei territori di gruppi non formalizzati, di associazioni non iscritte agli albi di riferimento pe le Odv e Aps, né agli eventuali albi regionali sull’immigrazione” riporta la ricerca. A pesare sulla mancata registrazione a registri nazionali e regionali, che impedisce poi di usufruire anche di vantaggi, convenzioni e sovvenzioni, è sia la scarsa capacità delle istituzioni di rendersi visibili sia l’effettiva incompetenza e disinformazione giuridica di molto associazionismo che in realtà si inserisce in quella che è una carenza di know-how più generale.

Domandare beni immateriali per risolvere autonomamente quelli materiali. Si intenda: buona parte delle associazioni in realtà ha senz’altro delle difficoltà di carattere materiale – dagli studi territoriali emerge che oltre il 60% ha budget inferiori ai 5 000 € annui se non talvolta del tutto assenti e che l’80% lamenta problemi di sede fisica in cui riunirsi – e come tale chiede un generale mutamento politico/culturale anche fatto di diritto di voto quantomeno a livello locale. Eppure, forse anche consapevoli della crisi, le associazioni spostano buona parte della richiesta alle istituzioni di supporto su temi che generalmente esulano dall’aspetto materiale: ad es. domandano informazioni legislative su immigrazione, associazionismo e fonti di finanziamento, consulenza nella preparazione di progetti e delle pratiche fiscali, formazione su management e comunicazione. In sostanza l’associazionismo straniero prevalentemente domanda empowerment. Cioè richiede sì effettivamente a stato ed enti locali uno sforzo, ma di una trasmissione di conoscenze i cui frutti poi dovrebbero essere duraturi, permettendo nel tempo ai gruppi maggiore efficienza ma in autonomia.

Disparità tra le regioni. Che l’indagine dell’associazione Parsec indaghi tre realtà territoriali distribuite tra centro nord, centro e sud Italia ha poi la funzione invece di mostrarci o quantomeno parzialmente suggerirci le disomogeneità, positive o negative, interne a queste problematiche generali dette a seconda del posizionamento geografico e delle tradizioni d’accoglienza e pro attività immigrata connesse. A variare sono in primis le percentuali di stranieri con cui i vari comuni si devono interfacciare: a Reggio abbiamo una delle presenze  più alte d’Italia, il 13%, mentre a Cosenza è appena il 3%, ben al di sotto della media nazionale, cioè. Nel complesso Reggio Emilia brilla per capacità d’integrazione, mentre Latina è maglia nera molto sotto Cosenza. Gli enti locali – Provincia e Comune – sono variamente presenti per la città emiliana, solo la provincia nel caso calabro e un comune appena presente per Latina. Idem risulta buona la capacità di fare rete tra le associazioni presenti a livello locale tanto per Reggio che per Cosenza, mentre scarseggia assolutamente Latina. Città emiliana e calabra hanno poi entrambe macroassociazioni che mediano fruttuosamente tra gli enti locali e i gruppi: anche qui Latina latita.

Le consulte. Tanto per Cosenza che per la città laziale invece non sono previste consulte di stranieri né a livello comunale né provinciale : quest’ultima è invece prevista a Reggio. Va precisato che questo problema delle consulte è in realtà molto diffuso in molte regioni d’Italia: come specifica Bilongo, dell’ufficio immigrazione Cgil “il testo unico degli enti locali prevede la creazione di questo tipo di organi di rappresentanza ad hoc per gli stranieri: di fatto è un passo che resta disatteso in buona parte d’Italia”.Tra le proposte avanzate dai sociologi c’è comunque oltre a quella di rendere effettive le consulte su tutto il territorio nazionale, quella di renderle, a differenza di ora, organi deliberativi di coprogrammazione nazionale e regionale. Gli stranieri presenti in consulta potrebbero così iniziare ad esprimere pareri vincolanti per le politiche di integrazione, mentre invece ad oggi la loro opinione è meramente consultiva.

Marco Corazziari11 luglio 2012