“Uno dei motivi che spinge il nostro lavoro è consentire lo sviluppo, non fornire assistenza, che genera dipendenza e contribuisce a radicare una mentalità passiva e fatalista. Noi mettiamo in moto meccanismi”, spiega Marinella D’Amico, presidente e fondatrice dell’associazione Alizeta, da dieci anni operativa in Burkina Faso nel villaggio di Toessè – a sud di Ouagadougou – e presente domenica 8 luglio con il banchetto a sostegno del microcredito nella giornata conclusiva della rassegna “Giardini di luglio”, presso l’Accademia Filarmonica Romana, dedicata al paese africano.
Alizeta è un nome molto comune nell’ex Alto Volta, nello specifico quello di una donna morta per cause legate all’igiene a seguito di un parto: “benché le mogli abbiano un ruolo fondamentale nel mandare avanti la famiglia, non fa parte della cultura africana rispettare le basilari norme sanitarie per loro e i bambini”, racconta Francesca Ravaldini, volontaria dell’associazione. La scelta di stanziarsi a Toessè fu dovuta all’incontro della D’Amico con un ragazzo burkinabè proveniente proprio da quella zona. Dopo essersi recata sul posto, si è resa conto delle gravi carenze, specie nelle strutture per i più piccoli. Da qui la decisione di aprire un centro per bambini denutriti, il Cren – Centro recupero di educazione nutrizionale: “si occupa del loro recupero fisico e della formazione per le madri, perché al ritorno a casa possano migliorare le condizioni dei figli e insegnare alle altre donne come affrontare le problematiche”, prosegue la Ravaldini.
Gli altri progetti Praticamente privo di risorse naturali e di sbocchi al mare, circondato da Mali e Niger a nord e ad est, da Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio a sud, il Burkina Faso è nelle graduatorie il secondo paese più povero del mondo, leggermente avanti soltanto ad Haiti. Attraverso il microcredito Alizeta sostiene le imprese di artigianato locale al femminile, i cui prodotti, tessuti, accessori ed altro, vengono rivenduti in Italia per continuare i finanziamenti, con l’obiettivo di rendere le aziende autonome. Per quanto riguarda la scolarizzazione sono state assegnate cento borse di studio – suddivise equamente tra maschi e femmine – agli alunni più meritevoli, dalle elementari alle superiori, seguiti con l’aiuto di professori e presidi in tutto il loro percorso, “due di questi hanno appena preso la maturità, siamo molto fieri del risultato”. Il centro di formazione è attrezzato con una biblioteca, televisione e computer, “i ragazzi tendono a non avere stimoli, li educhiamo ad un uso corretto di internet. Alcuni hanno messo su un giornalino mensile, stanno imparando l’importanza dell’informazione”. Una delle priorità resta l’apertura dei pozzi, fondamentali per la salute e l’igiene. Ne sono stati aperti dieci a Toessè, con un elevato costo che si aggira sugli 8mila euro ciascuno, ma questo ha permesso anche esperimenti agricoli.
Cambiare la mentalità “La squadra della Onlus ha cambiato il modus operandi, abbiamo trasmesso nuovi criteri. Ad esempio le madri che si rivolgono al Cren hanno capito che lì si curano i problemi dal punto di vista culturale, prima era difficile che si rivolgessero a noi chiedendo soluzioni, è un gran successo. Abbiamo sradicato l’idea dell’uomo bianco che porta regali come Papà Noel”, che si trattasse di dolci o di medicine: “non possiamo distribuirle noi volontari, sarebbe sbagliato, sono i dottori e i farmacisti quelli a cui rivolgersi”. Importanti per questo i rapporti con la popolazione locale, dai professori per i corsi extrascolastici alle autorità religiose e politiche, “conoscendo il territorio sanno meglio di tutti le loro esigenze e ci avvaliamo di questa esperienza per non fare danni. In molti casi è anche una questione etica, cerchiamo di dare lavoro agli autoctoni piuttosto che far fare determinate cose ai volontari”. L’unica eccezione alla politica di non assistenzialismo, due anni fa in seguito ad una grave carestia, “in piena emergenza abbiamo distribuito grano ai più indigenti”. “Sono convinta che l’Africa ce la farà”, chiude ottimista la D’Amico.
La causa di Kripan Ad aprire la serata del Burkina Faso, la proiezione della pellicola diretta da Omer Oke, “La causa di Kripan”, dal nome della piccola ma generosa cittadina basca dove Alassane, giovane burkinabè, si era trasferito in cerca di lavoro, ora costretto, non senza difficoltà, a tornare nella propria terra per evitare che alla figlia di sei anni Bintou venga praticata l’infibulazione. Un film che porta all’attenzione la complessità della società del paese africano, dove la tradizione supera anche le leggi, che ormai vietano la “purificazione”, ma senza la quale l’onore di un’intera famiglia è a rischio. In apertura e chiusura, il racconto delle drammatiche esperienze di due ragazze senegalesi, la cui testimonianza fa capire come questo rituale lasci non solo segni sul corpo, ma cicatrici anche peggiori nello stato psichico ed emotivo.
Adriano Di Blasi
(18 luglio 2012)