Tutti i suoni dell’Armenia

Suoni, odori, sapori e parole armene sono stati protagonisti all’Accademia Filarmonica Romana, che nell’ambito della rassegna I giardini di Luglio ha dedicato una serata all’ Armenia, uno stato giovane ma un popolo antico che è riuscito a tramandare cultura e storia, nonostante il genocidio subito e conseguente diaspora. 

Lilit Khachatryan e Agnessa Gyurdzhayan
Figli di un monte. Essere armeni per sangue e appartenenza, senza conoscere la lingua, pur essendo nati e cresciuti in altre nazioni, sentirsi figli di un monte senza nemmeno averlo visto. E’ questo che accomuna i protagonisti del documentario I figli dell’Ararat, di Piero Marrazzo, proiettato nella Sala casella dell’accademia.  Satenig Gugiughian, racconta la deportazione, le violenze e la morte che il suo popolo ha vissuto tra il 1915 e il 1918 quando circa un milione e mezzo di armeni vennero deportati e massacrati dall’esercito ottomano. I suoi occhi sono grandi, pieni di tristezza e rabbia per il mancato riconoscimento del genocidio da parte del governo di Ankara. Eppure lei non ha vissuto queste violenze, non era neppure nata, ma racconta la storia del padre, allora bambino, che riesce a salvarsi durante la deportazione. La racconta come se l’avesse vissuta in prima persona, perché è la storia del suo popolo a cui sente di appartenere anche se per metà è italiana. Altre storie di famiglie armene sono raccontate da Vartan Gregorian, presidente di una delle maggiori istituzioni culturali statunitensi, la Carnegie Foundation di New York, dalla scrittrice Antonia Arslan, docente universitaria e autrice del libro “La masseria delle allodole” da cui è stato tratto l’omonimo film e da Charles Aznavour famoso cantante francese ma che tiene molto a ricordare le sue origini armene. C’è poi la testimonianza di Karikin Crikorian, che racconta gli anni della lotta armata per il proprio popolo,e per una terra che non ha mai visitato. Sta ancora scontando la sua pena, è in regime di semi liberta ma ha voglia di ricostruire le sue origini. Ha due lauree e vorrebbe vedere l’Ararat, il monte del suo popolo, che oggi gli armeni possono solo guardare da lontano poiché si trova in territorio turco.Donne armene in musica. Sono loro le protagoniste del concerto che ha seguito la proiezione del film. La pianista Lilit Khachatryan e il soprano Agnessa Gyurdzhayan hanno trasportato i presenti in un viaggio nella musica armena, da quella medioevale a quella di Padre Komitas che ha raccolto le musiche tradizionali del suo popolo che si stavano perdendo, ed ha inventato un’ apposita scrittura per trascriverle. Le due artiste si sono diplomate in Armenia ma vivono in Italia da molti anni e si impegnano per far conoscere la loro cultura attraverso la musica “Non abbiamo il mare, abbiamo una terra che si coltiva con fatica ma la nostra ricchezza è la cultura. Infatti i primi ad essere deportati furono proprio artisti, scrittori, musicisti, volevano cancellare la nostra storia, la nostra arte, ma non ci sono riusciti”. Sorride Lilit mentre racconta della sua passione per la musica, per il piano che suona con abilità e grazia. La stessa che si percepisce ascoltando la voce di Agnessa, fiera di cantare nella sua lingua che appena smessi i panni di soprano corre ad abbracciare il suo bimbo.Intermezzo culinario. Al buffet, allestito fuori alla sala casella, si forma una fila molto lunga. Tutti vogliono assaggiare le specialità armene, come i korovats, spiedini di carne e riso avvolti in foglie di vite o il pane lavash, sottile sfoglia preparata con un particolare tipo di forno in terracotta. E poi ci sono i dolci, come il baklava di pasta sfoglia, miele e frutta secca. E per finire l’immancabile cognac per i numerosi kenats (brindisi) che accompagnano chiacchiere e racconti in armeno e italiano.
Trio Dabaghyan
Duduk.E’ uno strumento a fiato, a doppia ancia, costruito in legno d’albicocco ed è uno dei simboli dell’identità nazionale armena. Dal 2005 la sua musica è patrimonio orale e immateriale dell’umanità. E ascoltandola eseguita dal suo massimo interprete,  Gevorg Dabaghayan, si capisce il perché. Il suono è davvero particolare, delicato ma intenso. Il concerto ha visto la partecipazione anche di Grigor Takushyan anche lui interprete di questo magico strumento e Kamo Khachatryan con il suo  dhol, percussione diffusa in India e Armenia. Le note del duduk, nella splendida cornice dei giardini dell’accademia hanno fatto immergere i presenti nelle atmosfere, nella storia armena, fatta di violenze e torti subiti ma anche di ricostruzioni, tradizioni e orgoglio mai perso.Martina Amendola(05 luglio 2012)