Iftar: faccia a faccia con un italiano-mussulmano

Venerdì 17 agosto si è svolta, come di consueto dopo il tramonto, la penultima rottura del digiuno del ramadan di quest’anno. L’Iftar, così si chiama il pasto serale, è un importante momento di aggregazione per le comunità, che spesso si ritrovano a casa di amici per celebrare questo avvenimento. Anche la moschea di Roma organizza il pasto serale. La sala, in cui si svolge la cena, è poco distante dalla piazza principale, e i fedeli, dopo la preghiera delle 20:15 la affollano in attesa di consumare questo lauto pasto. Il servizio è volontario, ma sono molti i ragazzi che si danno da fare per servire i piatti e, finita la cena, pulire la stanza. Parlando con le tante persone che si siedono in trepidante attesa, sono molte le storie che si possono ascoltare. Una di queste è particolarmente interessante, tanto da catturare l’attenzione dei presenti. Marco, un uomo sulla cinquantina, con barba rasa e capello brizzolato, è nato a Roma ma ha vissuto per lungo tempo in Libia poiché il padre era originario di quella terra. La sua, dunque, non è stata una conversione, bensì una scelta, dettata dall’appartenenza ad una cultura ed ad un popolo fedele all’Islam.

Il ramadan
“ Questo periodo è il momento in cui restituiamo a Dio una piccola parte di quello che lui ci concede tutto l’anno. E’ per questo che non si può considerare il ramadan un periodo di sacrificio, anzi, deve essere visto come un momento di purificazione. In tanti approfittano di un pasto gratuito, e si presentano qui senza aver rispettato il digiuno. Magari non sono neanche mussulmani. Questo non significa che non debbano ricevere le giuste cure,anzi,l’Islam prevede la carità nei confronti dei poveri, però ci vorrebbe maggiore rispetto, e dovrebbero far entrare prima i fedeli.” Già, il rispetto, ricorre spesso nel discorso di Marco, che finalmente, prende in mano la forchetta e si gusta il piatto di pasta al sugo di carne che gli presentano. “ Il rispetto è tutto. Io posso credere o non credere, essere cristiano, buddista o mussulmano, ma quello che davvero conta è che la mia scelta non venga giudicata in negativo da nessuno. L’islam insegna anche questo”. Il primo pasto, scompare velocemente dai piatti di carta disposti l’uno accanto all’altro. Mentre portano in tavola il secondo, una zuppa di ceci e legumi vari, Marco si lascia andare ai ricordi e racconta la differenza tra un ramadan vissuto qui in Italia ed uno vissuto in Libia:“ Quello che mi manca più di ogni altra cosa, è la festa che si celebra ogni sera, dopo l’Iftar. Canti,balli ma soprattutto tanta unione. Qui a Roma veniamo rispettati, certo, però l’aria che si respira è completamente diversa. Ad esempio la giornata, in Libia ruota intorno a questo momento, mentre qui il lavoro viene prima di ogni altra cosa. Io sono fortunato perché gestisco un’azienda, quindi posso decidere quando prendere un periodo lungo di ferie, che spesso faccio coincidere con il ramadan.

Il discorso,durante i ricordi, cade anche sull’attuale situazione della Libia:“ Il difficile, viene ora, Gheddafi ha sicuramente sbagliato negli ultimi dieci anni. Si era chiuso in se stesso, non viveva sulla propria pelle la vita dei libici. Il problema è che chi sta cercando di prendere il potere oggi, non si è dimostrato migliore di lui. Purtroppo quando il denaro e il potere prendono il sopravvento i risultati sono questi”. Anche la zuppa viene spazzolata in pochi minuti, così, dopo aver bevuto l’ennesimo bicchiere d’acqua e mangiato un dattero, molti fedeli si dirigono fuori dalla moschea per gustarsi un thè caldo in compagnia. Una volta seduti, Marco continua a raccontare il suo Islam: “ Credo che l’influenza occidentale si stia facendo sempre più largo tra le strette maglie del nostro credo, questo ha i suoi lati positivi, ma anche quelli negativi. Da una parte ha aperto gli occhi a molti mussulmani rendendo più moderno il modo di pensare ma dall’altra, a causa della disinformazione, si rischia di chiudere troppo spesso le porte ad un pensiero ed una religione diversa da quelle a cui l’occidente è abituato. Un esempio su tutti è il modo di vestire delle donne. Il corano non dice che abiti dovrebbero indossare, è una loro scelta quella di coprirsi o scoprirsi, un fatto culturale e non religioso, come molti tendono a credere”. La serata è giunta al termine e Marco si deve dirigere un’ ultima volta verso la moschea per partecipare alla preghiera notturna: “ Poi torno a casa e mi riempio di datteri e latte, sono la migliore arma per resistere alla sete!” Si alza dalla tavola, saluta gli amici e si perde tra la folla.

 

Adriano Di Blasi

(22 agosto 2012)