Nella Sala della Mercede della Camera dei Deputati si è svolto nella mattina di martedì 18 settembre un seminario promosso dal progetto Nautilus con il titolo “Connecting People”. Tra le attività del progetto Nautilus (curate dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’Interno ma seguite con interesse anche dall’universitàLa Sapienza) spicca questa recente indagine sui rifugiati e il mercato del lavoro, condotta negli ultimi due anni fra dodicimila persone. Dodicimila intervistati (fra i 18 e i 45 anni) non sono molti, se si considera che i rifugiati stranieri in Italia ammontano a 58mila (al 2011), cui vanno aggiunti i richiedenti asilo, 34mila – sufficienti però per raccogliere una utile banca dati, la prima che ci informi su questi soggetti svantaggiati. E’ stato sottolineato nel corso dell’incontro che in Italia non è stata ancora deliberata, ad oggi, una legge sul diritto d’asilo. Tra i presenti al seminario, la sottosegretaria al Lavoro Maria Cecilia Guerra e il ministro Cesare Damiano.Il quadro che l’indagine ha messo in luce illumina sulle competenze e sulle professionalità dei dodicimila intervistati, sulla loro familiarità con la lingua italiana, sulle difficoltà incontrate nel far riconoscere i rispettivi titoli di studio nel nostro paese. Nello sfondo, l’accesso al lavoro, non agevole né diretto, anzi molto lento e accidentato. L’indagine ha registrato il livello della preparazione scolastica dei soggetti, poco elevata, benché non manchino alcuni titoli universitari, ma in genere elementare o media. Una percentuale notevole degli intervistati, l’81%, ha espresso l’intenzione di non dirigersi verso altri paesi nei prossimi anni ma di rimanere sul suolo italiano. L’elemento più critico emerso è la conoscenza della lingua italiana, nulla o molto scarsa fra queste dodicimila persone : come se i soggetti non afferrassero lo stretto rapporto fra la ricerca di un lavoro e la necessità di padroneggiare la comunicazione linguistica. Tanto è vero che fanno spesso resistenza alla proposta di corsi di alfabetizzazione. Tuttavia tra i risultati dell’indagine di Connecting People è stato menzionato il fatto che nel corso dei due anni si è riusciti ad orientare al lavoro 300 di questi intervistati. Un fatto non irrilevante, sia per il carattere di crisi dei due anni in questione sia per la qualità dei contratti di lavoro, regolari, che è stato possibile realizzare per loro.Molte delle annotazioni appena fatte hanno indotto a riflettere sulla qualità del sistema dell’accoglienza nel nostro paese. Mentre la prima accoglienza ha i suoi limiti ma anche i suoi punti di forza, la seconda accoglienza ha bisogno di essere ridisegnata. I rifugiati e i richiedenti asilo permangono troppo tempo nei centri d’accoglienza, un tempo inerte, senza attività o prospettive. Di loro a un certo punto si perdono le tracce perché entrano nel mercato del lavoro nero al pari di molti immigrati irregolari, non vengono più raggiunti da proposte razionali e produttive. Mentre sarebbe necessario sostenerli soprattutto con corsi formativi orientati all’autoimprenditorialità. L’intervento di un rappresentante della Confederazione Nazionale dell’Artigianato, CNA, ha portato molti esempi di piccole imprese sorte dall’iniziativa degli immigrati, additando questa strada come percorribile anche per i rifugiati. Il seminario si è mosso negli ultimi interventi verso la linea delle “pratiche” da avviare e incoraggiare più che verso la linea politica dei “principi” e delle leggi da deliberare. In questa ottica va interpretato infatti il discorso del ministro Damiano.Il ministro Damiano, che ha ricoperto nel Veneto in anni passati una responsabilità sindacale perla CGIL, ha dichiarato cruciale la questione della lingua, una chiave di volta dirimente. Ha suggerito di attuare una “buona pratica” : la riattivazione dei corsi delle 150 ore per i lavoratori, che negli anni Settanta, in Veneto e altrove, hanno goduto di una platea ampia e appassionata di frequentanti. La norma è tuttora vigente, ma è rimasta inerte, inutilizzata : mentre si tratta di una norma da riprendere in considerazione per veri e propri corsi di alfabetizzazione alla lingua italiana. Con l’aiuto di patti territoriali stipulati insieme alle imprese, in vista di contratti di inserimento e di stage e facendo leva sui fondi europei sarebbe possibile porre in cantiere una sperimentazione concreta dei corsi e renderla appetibile per i giovani sotto forma di un modello di alternanza fra studio e lavoro. Il seminario si è così concluso, anche nelle parole del sottosegretario Maria Cecilia Guerra, all’insegna di un invito collettivo alla pratica minuta e concreta di strumenti di superamento dell’impasse che sembra caratterizzare al momento il nostro rapporto con il problema sociale dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
Simonetta Piccone
(20-settembre-2012)