“Abbiamo la mappa ma non arriviamo ai territori. E la teologia può essere definita, come dice un mio amico buddista, una lunga prefazione senza il libro.”
Franco Di Maria Javendranatha, il presidente dell’Unione induista italiana, citando il concetto kapuscinskiano “la mappa non è il territorio” esordisce alla tavola rotonda che ha visto confrontarsi rappresentanti del cattolicesimo, protestantesimo, islamismo, ebraismo e della Chiesa Valdese sul tema dell’amicizia nei rispettivi testi sacri. L’incontro è stato parte della conferenza L’amicizia nelle culture e nelle religioni che, organizzata da Religions for peace e Asus – accademia di scienze sociali e umane, si è svolta giovedì 25 e venerdì 26 ottobre a Roma. A ridosso dell’anniversario dello storico incontro del 1986 ad Assisi, della XI Giornata ecumenica del dialogo islamico-cristiano e in coincidenza con l’importante festa islamica del Sacrificio di Abramo. In quest’occasione, Piuculture e le altre associazioni che hanno collaborato all’organizzazione dell’evento, hanno raccontato e confrontato il loro lavoro interculturale nelle città italiane.
Che la mappa non sia il territorio è una verità nota al gesuita Matteo Ricci che evangelizzò la Cina e al quale è stato dedicato il ciclo d’incontri. Tra i pochi esemplari di opere cartografiche del primo seicento,c’è quella disegnata dal missionario; importante documento storico giacché è la prima a unire le conoscenze geografiche cinesi e occidentali. Il gesuita, preso il nome mandarino di Li Madou, non si fermò però ai tratteggi di meridiane e parallele: si addentrò in profondità nella vita e cultura cinese, l’acquisì e attraverso la diffusione delle conoscenze matematiche, geografiche e astronomiche europee divenne “amico” dell’Impero dei Ming e primo evangelizzatore nella terra della seta.Oltre al suo lavoro di missionario e sinologo, tradusse testi e ne scrisse ex novo proprio sull’amicizia tema principale delle due giornate di dialogo interreligioso.
L’identità Il problema non è solo quello di arrivare ai territori. “La mappa del mondo è cambiata”, un mutamento interno ai Paesi e alle città. Don Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI, sottolinea che “lo spaesamento di chi si accosta alla globalizzazione, la fatica di trovare un proprio posto nel mondo, fa dei fondamentalismi una risposta al bisogno di semplicità in una realtà complessa. E’ l’identità a essere percepita come minacciata. Il nostro tempo ha bisogno d’identità e spiritualità.” Le nuove forme identitarie, ibride, coinvolgono non solo i migranti ma anche gli autoctoni. Franco di Maria porta come esempio se stesso, “in me convivono cultura italiana e indiana, spesso mi domando “chi sono”, mi rendo però conto che cercare di definire l’identità è un’opera di separazione dal resto.” Pone così la sua attenzione sulla strumentazione culturale e giuridica che permette a tali identità, “meticce” e non, di potersi esprimere. “Sono dodici anni che lottiamo per l’Intesa con lo Stato italiano, speriamo di essere in dirittura d’arrivo.”
“La difficoltà del dialogo interreligioso è rischiare di cadere nel relativismo o, all’opposto, nel sincretismo, cioè da una parte svuotare il discorso di significato, dall’altra arrivare ad un’accozzaglia di convinzioni differenti”, mette in guardia Paolo Trianni, professore dell’Università Pontificia Sant’Anselmo. “L’unica strada per una collaborazione tra culti è praticare l’amicizia, la solidarietà, riscoprirsi uomini. Non sappiamo se in un futuro lontano si giungerà ad una dottrina unica, ma sicuramente il cammino verso la verità va fatto insieme”. “Il linguaggio va edificato sui punti in comune, possiamo distinguerci per il vestito o per cosa si porta al collo, ma il sangue è sempre rosso e la casa di tutti è il mondo”, aggiunge Hari Singh Khalsa, presidente dell’Unione Sikh italiana, quinta fede più seguita nel mondo ma solo all’undicesimo posto nella graduatoria di quelle più percepite, “anche dietro le sette sataniche”, ironizza Khalsa. “Stiamo entrando nell’era dell’acquario, che segnerà il superamento dell’io e mio tipico dei duemila anni sotto l’influenza della costellazione dei pesci, per arrivare al noi e nostro. Altrimenti saremo obsoleti, zombie, non è una scelta ma una necessità”.
L’amicizia. La libera espressione della propria identità genera confronto, incontro, amicizia. Il rabbino Benedetto Carucci Viterbi spiega che amicizia nella tradizione ebraica significa «colui con cui studio». “Lo studio occupazione essenziale per gli ebrei, non si fa mai da soli. Non si parla, quindi, solo di relazione tra due persone, bensì dell’interpretare il mondo con i nostri occhi e quelle degli altri”. Suor Maria Ko Ha Fong, docente di origine cinese, ha descritto le numerose amicizie e gli spazi di queste relazioni raccontate nei testi sacri del cattolicesimo. Il pozzo e la casa sono i luoghi dell’amicizia per eccellenza. Il pozzo, posto dove ci si incontra, si chiacchiera e si entra in confidenza. Il pozzo come metafora di una profondità che resta insondata, ma da cui si attinge per bisogno fisico; e spirituale. La casa invece è il luogo dell’intimità e dell’accoglienza. La gratuità dell’amicizia e dell’ospitalità sono le caratteristiche su cui ruota la poesia L’amico del teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, letta alla sala da Fulvio Ferrario professore presso la facoltà Teologica Valdese di Roma.
Non bastano le buone pratiche, pur diffuse, così come non basta solo organizzare convegni sul tema, bisogna prendere coscienza dei problemi pratici, rendere consapevoli: “la diseguaglianza è frutto di indifferenza, intolleranza e oppressione, ma ci si abitua, diventa prima sopportabile, poi del tutto normale”, afferma Dora Bognandi, direttore del dipartimento per gli affari pubblici e la libertà religiosa dell’unione delle Chiese Avventiste in Italia. I riflessi si sono visti nelle intese tra Stato e confessioni, tardive e non complete, “le concessioni sono state col contagocce. Addirittura alcune leggi regionali vietano la realizzazione di luoghi di culto e i media tacciono, se non per tirare in ballo l’ordine pubblico”. “Si guarda alle dottrine, ma il concetto è che Dio è uno, così come l’essere umano”, aggiunge Guido Morisco, dirigente nazionale della comunità Baha’i’ italiana, la più giovane per riconoscimento internazionale, ottenuto dalle Nazioni Unite nel 1948, ma risalente alla fine dell’800 da derivazione iraniana sciita. “Le diverse religioni sono un dono divino che dimostra l’accortezza della mente creatrice, dando la possibilità ad ogni anima di trovare il suo percorso verso la crescita”. Tenersi fedeli a valori quali correttezza e rispetto è per Morisco l’unico modo per uscire da una crisi che coinvolge diversi aspetti della vita sociale, non ultimo quello economico: “il benessere è minato da sfiducia, corruzione, disonestà e chiusura, se ripristiniamo certe dinamiche, il cambiamento è possibile”.
“Il multiculturalismo ha fallito: al riconoscimento reciproco non coincide una reale integrazione” denuncia Don Gino Battaglia. “E la religione non si è estinta come molte analisi sociologiche avevano anticipato. Anzi è ora che tali studi inseriscano la dimensione spirituale nelle loro ricerche.” Scrive Adel Jabbar, sociologo dell’università Ca’ Foscari di Venezia, che è necessario ripristinare una “memoria plurale” per saper leggere la complessità di contesti che “spesso vengono ridotti ad entità monolitiche e omogenee”. Non è la prima volta nella storia che diversità convivano nello stesso territorio e il multiculturalismo “non è creato dalla presenza degli immigrati, essi aggiungono altre differenziazioni a quelle già esistenti in ogni società e contribuiscono a renderle più visibili”.
M.Daniela Basile e Gabriele Santoro(31 novembre 2012)