Turchia, traino per il Mediterraneo con un occhio all’Europa

Il ministro degli Affari esteri turco Ahmet Davutoğlu

“Dove vuole posizionarsi l’Europa nel nuovo mondo?”, si chiede Ahmet Davutoğlu, ministro degli Affari esteri della Turchia, intervenuto al nono forum italo-turco organizzato da Unicredit il 12 novembre e tenutosi presso il St. Regis Hotel. Si assiste ad uno slittamento del protagonismo planetario verso est e se il vecchio continente ambisce a tornare a giocare un ruolo primario nello scacchiere globale ha bisogno di dinamismo economico, inclusione culturale e di una geopolitica di rilievo. “Queste tre condizioni possono essere soddisfatte in maniera migliore con la Turchia all’interno dell’Unione Europea, siamo la cura e non un problema e da sempre facciamo parte della sua storia, non possiamo lasciare né loro né l’oriente”. Non sarebbe un’adesione interessata, “ora non abbiamo bisogno di aiuti, anzi potremmo darne noi, come successo con Egitto e Tunisia”.

Il boom degli ultimi dieci anni Dopo le numerose crisi che hanno colpito il paese anatolico negli anni ’90, le politiche di rigore promosse dal ministro dell’economia Kemal Derviş a partire dal 2001 hanno portato il debito pubblico dall’80 al 37% del pil e creato una stabilità ormai decennale. Basti pensare che nei primi due anni di crisi la Turchia è riuscita ad avere una crescita tra l’8 e il 9%, ora in calo ma sempre con un saldo positivo del 3%. “Abbiamo diversificato il nostro mercato, come sbocchi e, di conseguenza, come produzioni”, spiega Lokman Gündüz, membro del consiglio direzionale della Banca Centrale turca. Le esportazioni verso l’Ue sono calate dal 56 al 45%, ma sono aumentate verso Asia e Africa, compresi i paesi della cosiddetta primavera araba. Questo anche perché le misure di svalutazione della lira hanno garantito maggiore convenienza per gli acquirenti esteri, pur con l’effetto di tenere l’inflazione su alti livelli, attualmente al 7,4% a fronte di un target del 5%. “Ringraziamo la Merkel e Sarkozy per averci evitato l’impatto negativo di essere nell’Ue”, ironizza Ömer Bolat, ex presidente dell’associazione industriale Musiad. Fatto sta che i risultati si sono visti, con il reddito pro capite triplicato e una valutazione di Fitch salita a BBB. “Ma vogliamo che l’Europa ce la faccia”, prosegue Bolat, “per un’integrazione economica come segnato dalle direttive di Erdoğan”.

Le opportunità di cooperazione “La convinzione è che dovremmo avere già da tempo la Turchia nell’Unione Europea”, afferma Giuliano Amato, presidente del consultivo internazionale di Unicredit. Anche in funzione di interlocutori con l’area mediorientale e del nord Africa, “per elaborare un piano di state re-building in quei paesi in modo da eliminare incertezze sui nuovi governi, ponendo la Turchia come modello di democrazia laica che può coesistere con l’islamismo”. Un approccio che va oltre i meri rapporti economici, “vediamo i paesi confinanti come vicini con cui avere buone relazioni, dalla Siria all’Iran”, aggiunge Gündüz. “Italia e Turchia hanno due grandi tesori, tradizioni, sono storicamente trasformatori di civiltà”, prosegue su questa linea il ministro Davutoğlu. “La collaborazione serve all’Europa e agli stati circostanti, bisogna risvegliare tutti dall’Egitto alla Spagna nel bacino del Mediterraneo. Sono sempre stato ottimista e ritengo la crisi un parto doloroso per un qualcosa di buono”.

Il lavoro sulla sponda sud del Mediterraneo La posizione di Italia e Turchia pone i due paesi in una posizione strategica per il dialogo con i nuovi governi formatisi dopo le rivolte nel nord Africa. “Dobbiamo orientare, mostrare la strada per la stabilità politica ed economica”, traccia le linee guida Bolat. “La nostra influenza c’è stata, anche Al Jazeera ha mostrato la nostra democrazia come esempio”. Insieme al Fmi, l’Ue e i paesi del Golfo si dovrebbe creare “una nuova banca per lo sviluppo e la costruzione, come avvenne per i paesi dell’Europa orientale dopo la caduta del comunismo, con aiuti alle piccole e medie imprese su expertise e know how. È un contributo chiave per la pace”.  L’integrazione regionale è fondamentale anche per Giulio Terzi, ministro degli Affari esteri, “deve essere un processo rapido e libero da barriere strutturali. Tutta quest’area ha un interscambio intorno agli 80 miliardi di euro, è importante che ci sia una presenza politica e tecnologica”. Non mancano le difficoltà, come ad esempio il fatto che nei tribunali egiziani ci siano 6 mila cause pendenti contro imprese straniere, sospettate di corruzione per gli accordi con il vecchio regime, “circa 150 aziende hanno chiuso, scoraggiate da instabilità sociale ed insicurezza dei dipendenti”, i dati preoccupanti riportati da Vittorio Da Rold, corrispondente de Il sole 24 ore.

Giulio Terzi, ministro degli Affari esteri italiano

La spinta italiana per la Turchia in Europa Dal punto di vista economico la Turchia è già in Europa, il volume d’affari tra importazioni ed esportazioni raggiunge i 150 miliardi di euro, con l’Italia secondo partner commerciale alle spalle solo della Germania. “L’ingresso nell’unione è necessario per noi e per tutti i paesi, sarebbe miope lasciarli fuori in un momento in cui serve crescita. Oltre all’unità storica e culturale la Turchia può portare grande dinamismo”, ritiene Federico Ghizzoni, Ceo di Unicredit. “È essenziale ridare vigore al progetto di integrazione continentale”, continua il ministro Terzi, anche se “l’impegno politico preoccupa alcuni”. Nel 2014 ci saranno le elezioni comunitarie, “occasione per portare questi progressi, ci si giocano le relazioni con amici vicini”. “L’Ue allargata alla Turchia è la migliore garanzia, l’apertura europea rimane un faro per tutti”, chiude Emma Bonino, vicepresidente del Senato.

M. Daniela Basile(14 novembre 2012)