Lucian Georgescu, al ProCult Festival per emozionare

Lucian Georgescu

The phantom father (Il padre fantasma), il film di Lucian Georgescu, ospite d’onore del festival Procult, che si è svolto tra 22 e 25 novembre all’Accademia di Romania, ha vinto il premio Metamorfoze per il miglior lungometraggio. E’ un progetto iniziato da Georgescu 6 anni fa come sceneggiatore e produttore, e la regia doveva avere la firma dello scomparso Ovidiu Bose Pastina. Poi la pressione per il tempo che passava, i limiti imposti dalla produzione, l’impossibilità di trovare un regista che esprimesse il messaggio del film così come era pensato inizialmente, ha spinto Georgescu a passare anche dietro la machina da presa. “Non sei mai preparato a realizzare un film, ma siccome c’è qualcosa di personale in questa opera e, ovviamente, in ogni sceneggiatore si nasconde un regista, mi sono buttato. Uno scrittore ha caratteristiche diverse, è passivo e vive nella sua storia, mentre il regista fa sì che la storia accada”.

L’incontro con Berry Gifford e Marcel Iures è stato determinante per questo progetto. Georgescu gli ha incontrati al festival del cinema di Cluj, dove teneva un workshop come docente di sceneggiatura. “In Europa facciamo film con amici e per gli amici, in senso di quanta passione mettiamo nella realizzazione di un’opera e nella sua presentazione al mondo esterno. Analogamente a quanto accadeva nel cinema italiano negli anni 50-60. Perché noi non siamo un’industria, siamo ancora un sistema rigorosamente organizzato su base artigianale”. Quando dice amici, Lucian Georgescu si riferisce ai 50 mila spettatori fans del suo film che dovrebbe ancora conoscere . Tutti i film della nuova onda , che rappresentano una realtà significativa nella Romania di oggi, sono considerati di nicchia, artistici in America. The fantom father non svela molto della faccia attuale del paese. “Il mio non è cinema d’arte. Dipende sempre che tipo di “lente” metti alla tua macchina da presa. Io ho un altro modo di vedere e di dire le cose, con tutto il rispetto per le categorie stilistiche, non sono un neorealista o un documentarista”.

La troupe di Phantome

Ispirato al libro autobiografico di Gifford, il cui padre faceva parte di un notoclan mafioso di Chicago, il film racconta l’avventura di un americano che arriva in Bucovina, una regione della Romania, per cercare le origini della sua famiglia, emigrata negli Stati Uniti ai tempi della Prima Guerra Mondiale. Arrivato nel paese, viene accompagnato nelle vicende on the road da una bella impiegata degli archivi locali. Berry Gifford è considerato uno scrittore di nicchia e di genio, mentre l’attore romeno Marcel Iures, che si è affermato negli Stati Uniti per la sua recitazione intensa, qui recita in inglese con grande stile, inserito in un paesaggio folcloristico post-rivoluzionario.

La difficoltà è stata nel raccogliere i fondi per la realizzazione. Partendo dal testo di uno scrittore americano, essendo un film on-road, con molte location, dove le immagini e la musica sono molto importanti, non si poteva fare un film in economia. Importante è stato il contributo di un produttore tedesco, professore alla scuola di cinema di Berlino, e la musica che avvolge le scene appartiene a Johanes Malfati, un discendente dei principi romeni Cantacusino. Il fatto di essere parlato in 3 lingue: romeno, ucraino e inglese al 60-70 % è un punto di forza per la distribuzione all’estero. “L’abbiamo distribuito in una grande rete commerciale americana, ma non ancora in Europa”.

L’autore definisce il  film “arte popolare”. ”La mia creazione tende a entrare in sintonia con lo spettatore. Non faccio film per un pubblico d’elite. Mi intriga il fatto di creare per un certo tipo di spettatori, immergermi dentro una specifica onda sentimentale che va condivisa con loro, altrimenti non si emozionano durante la proiezione”. Georgescu crede che si debba andare a vedere un film con la generosità e la predisposizione a lasciarsi coinvolgere: “Il cinema dovrebbe significare emozione. Io non credo in lezioni, teorie, regole e clichè che insegnino come deve essere il film. Sono uno spettatore generoso, vado per il piacere di vedere l’opera e divertirmi. Soltanto nella seconda fase interviene il lato critico, dopo quello emozionale”.

Nella sua originalità, il film risente di influenze stilistiche di grandi autori che hanno fatto la storia del cinema e che solo gli appassionati della settima arte possono scorgere tra strati e sfumature sottili di regia e sceneggiatura. Talento aggiunto alla ricchezza culturale e alla preparazione dell’autore che, con pazienza e tenacia imbattibile, è riuscito dopo 6 anni a realizzare l’idea. “Ho altri due progetti come regista. Ma c’è una cosa che mi blocca e mi infastidisce nella settima arte: passare per le difficoltà produttive toglie la gioia dell’atto creativo. Ho passato talmente tanti anni a raccogliere soldi per produrlo che non sono riuscito a vivere la felicità di vederlo sul grande schermo”.

Raisa Ambros(6 dicembre 2012)