I diritti umani in Italia. Amnesty ai leader politici: Ricordati che devi rispondere

Oggi in Italia essere donne, migranti, rom, gay, detenuti o manifestanti di un corteo significa correre il rischio di non veder rispettati i propri diritti umani” Amnesty apre così la sua nuova campagna Ricordati che devi rispondere presentata ieri, giovedì 23 gennaio 2012 da Christine Weise presidentessa di Amnesty International sezione Italia, Carlotta Sami direttrice generale e Riccardo Noury portavoce e direttore della comunicazione.

Amnesty alza la voce e invia ai candidati Berlusconi, Bersani, Giannino, Grillo, Ingroia, Monti, Pannella una mail con i dieci punti di Ricordati che devi rispondere. Dieci aspetti, i più critici e importanti, sui quali è ora che l’Italia attui degli interventi. “Sono singole richieste concrete e le risposte dovranno essere Si o No, vaghezza o rinvii non sono ammessi” dichiara Weise. “La nostra sarà una campagna concreta e costante, vogliamo consapevolezza e trasparenza”.

“L’attuale dibattito politico si concentra sugli aspetti finanziari e trascura la ricerca di soluzioni concrete a problemi che proprio la crisi economica sta trasformando in situazioni d’emergenza,” continua Christine Weise. Una decadenza alimentata “dalla disattenzione storica, dalla superficialità, dall’incoerenza generica e diffusa, aggravata da un opportunismo dettato dalla caccia agli elettori.” C’è un quadro giuridico interno che l’Italia, firmataria di accordi e convenzioni internazionali dovrebbe rispettare ma che elude silenziosamente.

Migranti indiani lavorano in una serra, Italia © Valerio Rinaldi

Proteggere i rifugiati e tutelare i migranti Le condizioni dei migranti peggiorano e Amnesty dedica a loro il terzo punto dei dieci presentati. Il rigido controllo degli ingressi e la legislazione italiana sul lavoro, incastra gli stranieri in circoli viziosi di sfruttamento e povertà. “Le autorità italiane hanno alimentato l’ansia dell’opinione pubblica, descrivendo l’immigrazione clandestina come una minaccia e giustificando in questo modo il loro operato,” spiega Weise. “Siamo nel 2013 e a Cosenza ci sono lavoratori stranieri che sostengono dieci ore di lavoro a tre euro l’ora” racconta Carlotta Sami. “Uno di loro mi ha spiegato che chiede aiuto economico ai parenti in India e, dato che è privo di contratto, non può permettersi di denunciare la sua situazione, verrebbe rispedito nel suo paese,” non è l’unico caso, la Bossi-Fini ne ha creati migliaia. Ma il problema dei migranti arriva prima che approdino nel nostro paese, “nel 2011, 1500 uomini, donne e bambini sono morti nel Mediterraneo, non si può accettare il divieto di salvataggio in mare,” sottolinea Carlotta Sami.Amnesty chiede così di abrogare la norma del “pacchetto-sicurezza” e di analizzare il migrante irregolare con attenzione al singolo caso, che le condizioni dei Centri di identificazione ed espulsione siano portate in linea con gli obblighi internazionali e di sciogliere gli accordi sul controllo dell’immigrazione con la Libia presi nonostante la condanna della Corte europea dei diritti umani nel 2012.

Demolizione di container al campo di Tor de’ Cenci, Roma 25 luglio 2012 © Amnesty International

Fermare gli sgomberi forzati e la segregazione etnica dei Rom Nel sesto punto della campagna, Amnesty chiede lo stop alla discriminazione, agli sgomberi forzati e alla segregazione etnica che si consuma a spese della comunità Rom in Italia. “I piani per la chiusura di diversi campi autorizzati o tollerati sono applicati senza salvaguardie, allo stesso tempo le condizioni di vita in quelli autorizzati restano disagiate perché non ci sono stati interventi di miglioramento” sottolinea la Weise. “Ci sono persone che hanno un regolare lavoro e i loro figli vanno a scuola. Ricordo di uno di loro, faceva il muratore, dopo lo sgombero del campo la sua macchina è diventata la nuova abitazione. Non poteva così andare a lavoro e i figli hanno smesso di frequentare la scuola,” racconta Sami. Tale politica italiana basata sull’“Emergenza nomadi” è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato nel 2011 e il governo si è impegnato a un approccio diverso. Nessun passo ad oggi si è verificato per attuare tale impegno.

Manifestazione di Amnesty International Italia, 26 giugno 2004 © Alex Mezzenga

1. Trasparenza delle forze dell’ordine e introdurre il reato di tortura Come primo punto dell’agenda, Amnesty pone il problema della trasparenza delle forze di polizia e l’introduzione del reato di tortura. “L’organo di polizia è importante. In uno Stato che difende la libertà, i cittadini non possono aver paura di manifestare e non si possono accettare certi tipi di condizioni e trattamenti in carcere” sottolinea la presidentessa, ricordando che molti dei responsabili della tragedia del G8 di Genova del 2001 sono rimasti impuniti, e proponendo l’uso di codici alfanumerici sulle uniformi, soluzione già indicata dal Codice europeo sull’etica della polizia. I tempi sono ormai maturi per introdurre, inoltre, il reato di tortura nel codice penale e per l’istituzione di un meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti, obbligo previsto dal Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura, ratificato dall’Italia nel 2012.

: Roma, 25 novembre 2007: manifestazione contro la violenza domestica © Beatrice Gnassi

2. Fermare il Femminicidio e la violenza contro le donne Nel rapporto presentato nel 2012, da Rashida Manjoo relatrice delle Nazioni unite, emerge che “il fenomeno del Femminicio e della violenza sulla donna sta diventando un problema che in Italia ha dinamiche radicate,” gli omicidi di uomini su donne ammontano ad oltre cento in un anno e superano quelli di uomini su uomini, inoltre il fenomeno di violenza domestica, nel 90% dei casi non denunciato, è una piaga della vita privata di troppe donne. “Il termine Femminicidio è un termine forte ma descrive un fenomeno che ha connotati di genere. Si parla di assassini non dovuti ad un conflitto di parti ma conseguenza di anni di tortura e di maltrattamenti che culminano nell’uccisione della donna in quanto tale” spiega Christine Weise.Amnesty suggerisce così al futuro premier di iniziare ratificando la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011, di adottare una legge specifica sulla parità di genere e sulla violenza contro le donne, di organizzare i centri di accoglienza per donne vittime di violenza, e di creare un coordinamento tra magistratura, polizia e operatori sociali che si occupano del problema. Non dimenticano di raccomandare alla società civile e agli organi di informazione di non assecondare la rappresentazione stereotipata delle donne e degli uomini

4. Le carceri italiane e le condizioni dei detenuti La mappa pragmatica, graficamente pensata come una scheda elettorale, prosegue sul problema del sovraffollamento delle carceri italiane, il cui tasso nazionale si aggira intorno al 150 per cento. Una criticità che ha “carattere strutturale e sistemico, un malfunzionamento cronico che deve risolversi con misure di prevenzione che non portino alle condizioni inumani attuali, non hanno altro luogo dove vivere che una cella sovrappopolata e sono privi di acqua calda in inverno” spiega Weise. “Ricordiamo che il 40 per cento dei detenuti è costituito da persone sottoposte a carcerazione cautelare in attesa di giudizio” sottolinea Sami.

Pride nazionale, Bologna 9 giugno 2012 © Amnesty International

5. Combattere l’omofobia, transfobia e garantire diritti umani alle persone LGBTI La legge penale italiana antidiscriminazione prevede pene aggravate per crimini di odio basati sull’etnia, razza, nazionalità, lingua o religione “ma non tratta allo stesso modo quelli motivati da discriminazione per l’orientamento sessuale e l’identità di genere”, come quelli che subiscono gay, lesbiche e transessuali. Una lacuna che Amnesty chiede venga colmata così come numerose convenzioni delle nazioni unite e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce. Inoltre sollecita ad affrontare un riconoscimento di rilevanza sociale alle famiglie costituite da persone dello stesso sesso e dai loro figli, tale riconoscimento permetterebbe di godere di diritti umani essenziali che attualmente sono loro negati. Amnesty si schiera così con parole chiare a favore del matrimonio per le coppie omosessuali, definendola “necessaria”, permetterebbe ai coniugi e ai loro figli il pieno possesso dei diritti civili italiani.

7. Un istituzione nazionale indipendente per la protezione dei diritti umani. Amnesty ne è convinta e lo dice per voce della residentessa Christine Weise: “è arrivato il momento di costituire un’istituzione nazionale indipendente, dotata di poteri e risorse adeguati, pluralista nella composizione, accessibile, con un mandato ampio relativo a tutti i diritti umani riconosciuti e che sia in linea con Principi di Parigi”, documento prodotto dall’ONU nel 1993

8-9-10 L’Italia all’Estero: le multinazionali, la pena di morte e il commercio delle armi Gli ultimi tre punti riguardano l’impegno dell’Italia nel panorama internazionale. Amnesty chiede così la responsabilizzazione del comportamento delle multinazionali italiane nei paesi esteri, “un esempio per tutti è quello dell’Eni in Nigeria,” dichiara Sami “Le attività petrolifere della azienda italiana stanno danneggiando i territori del delta del fiume Niger.”

da sinistra: Carlotta Sami, Riccardo Noury e Christine Weise

Amnesty sottopone al futuro governo l’invito a un approccio più autorevole e deciso nei confronti della pena di morte – una battaglia nella quale l’Italia è stata interlocutrice decisiva a livello internazionale – e nell’affrontare il problema del commercio delle armi. In entrambi i casi vi sono paesi di forte peso economico internazionale paesi porsi in maniera diversa, Amnesty sollecita così l’Italia ad avere una posizione forte e indipendente che non si sottometta a dinamiche di potere internazionali.

“Il futuro premier deve sentirsi ed essere responsabile e le sue azioni devono favorire la crescita dell’Italia come paese che rispetta i diritti fondamentali dell’uomo” conclude la presidentessa Christine Weise. Una griglia costantemente aggiornata è visibile sul sito www.amnesty.it e renderà pubbliche di volta in volta le risposte pervenute dai leader politici italiani.

M. Daniela Basile(24 gennaio 2012)