Alla Gnam l'arte giapponese fra tradizione e occidentalizzazione

Nel 1911, in occasione dell’esposizione universale di Roma, il critico d’arte Emilio Cecchi confessò la sua predilezione per il padiglione dei pittori nipponici, “quelli che più amano la penombra, perché la loro anima è piena di luce”. Non può esserci presentazione migliore per “Arte in Giappone”, mostra allestita alla Galleria Nazionale di Arte Moderna dal 26 febbraio al 5 maggio in collaborazione con la Japan Foundation, l’ambasciata in Italia e i musei di Arte Moderna di Kyoto e Tokyo, per celebrare il cinquantesimo anniversario dell’Istituto Giapponese di Cultura.

Per la prima volta nel nostro paese un’ampia panoramica sull’arte giapponese nel Novecento, nell’arco di tempo finora poco esplorato che va dal 1868 al 1945 – vale a dire dalla restaurazione dell’imperatore Meiji al termine della seconda guerra mondiale – ricco di trasformazioni dopo due secoli di feudalesimo e isolamento, al confronto con un rapido processo di innovazioni tecniche, economiche e sociali dettate  dagli influssi occidentali. “Anche le arti ne hanno risentito”, spiega Masaaki Ozaki, direttore del museo Nazionale di Arte Moderna di Tokyo, “la differenza di valori ha posto il problema di come far convivere elementi della tradizione con quelli provenienti dall’Europa”. In questo senso, la divisione della mostra in periodi storici – Meiji (1868-1912), Taisho (1912-1926) e Showa (1926-1989) – per sottolineare tematiche diverse “mira a facilitare la comprensione”, aggiunge Ozaki.

Non solo arte I 111 dipinti e 59 opere d’arte provenienti dalle più importanti collezioni pubbliche e private rischiano di rimanere sterili numeri senza una lettura ben precisa, che deve far arrivare a far capire “anche lo stile di vita, la quotidianità, ad esempio dal modo di vestire”, prosegue Yuzo Ota, ministro dell’ambasciata nipponica a Roma, “speriamo che questo sia uno stimolo per vedere con i vostri occhi il nostro paese”. L’auspicio di Fumio Matsunaga, direttore dell’Istituto Giapponese di Cultura, è invece di “offrire un’ulteriore opportunità per gli italiani di approfondimento e incontro per promuovere e rafforzare l’interscambio”, continuando su una strada tracciata dall’Istituto ormai 50 anni fa, con eventi, rappresentazioni teatrali, cinema, conferenze, mostre ed esposizioni.

Fumio Matsunaga, direttore dell’Istituto Giapponese di cultura

L’evoluzione dello stile L’analisi di fondo riguarda soprattutto la compenetrazione dello stile occidentale con la tipicità del luogo, di come sia andato a plasmare la tecnica caratteristica della pittura nihonga, contrapposta allo yoga – della nostra area del globo. La selezione presenta opere che reinterpretano lo spirito della tradizione, dai kakemono, dipinti su rotoli verticali di carta o seta, ai paraventi che decoravano le case, a raffinati tessuti, kimono, ceramiche, intagli in legno, raffigurazioni di animali, femminili, della natura. Tra gli artisti presenti, Kyosai, Hogai, Gaho, Kanzan, Gyokudo, Kansai, Chikudo, Bairei e Tessai per il periodo Meiji, la piena fioritura artistica del Taisho sarà rappresentata da Taikan, Shunso, Shunkyo, Hyakusui, Seiho, Kiyokata, Heihachiro, Hoan, Kansetsu e Usen, infine per la maturazione del nihonga moderno, tra Taisho e Showa, ci saranno Eikyu, Seison, Shoen, Yukihiko, Kokei, Shiko, Gyoshu, Kagaku, Bakusen e Keisen.

Gabriele Santoro
(25 febbraio 2013)