Newroz, capodanno curdo, si entra nel 2712. Letteralmente vuol dire “nuovo giorno” e forse mai come quest’anno l’augurio potrebbe avere un senso, già che proprio per il 21 marzo è atteso un messaggio del leader del Pkk Öcalan, dal carcere di un’isola sul Mar di Marmara, per uno storico cessate il fuoco, nella speranza di una soluzione pacifica che possa realmente portare libertà e gioia ad un popolo martoriato da decenni. È con questa prospettiva ed energia positiva che prendono il via i due giorni di festeggiamenti, il 20 marzo divisi tra il centro culturale Ararat e la dirimpettaia Città dell’altra economia a Testaccio, seguiti il giorno successivo da poesie e danze folkloristiche al Teatro Valle Occupato.
Il significato del newroz Fatta coincidere con l’equinozio di primavera, la ricorrenza viene celebrata in diversi paesi dell’Asia mediorientale e centrale fino al Caucaso ed in Albania, motivo per cui il nome assume diverse sfumature, a seconda del paese. La tradizione comprende l’uscita dalle città e l’accensione di fuochi nelle campagne, accompagnati da musiche e danze fino a tarda ora. Gli uomini portano la bandiera curda, verde, gialla e rossa, le donne vestono sgargiante. “L’uso del fuoco deriva da un mito nel quale il popolo curdo si può riconoscere facilmente”, spiega Erdelan Baran, presidente dell’Uiki – Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia. “Un eroe voleva salvare la sua gente da un re oppressore, quindi lo uccise e ne bruciò il castello. Oggi è uguale, stiamo in resistenza contro un colonialismo, non è solo una festa culturale, il significato è anche politico, liberare chi non ha un nome. È un’occasione per stare ancora più uniti, in patria o all’estero, in Germania si sono raggiunte le 100 mila presenze”. Ecco perché in Turchia il newroz è stato categoricamente vietato fino al 2000 ed anche negli ultimi anni ci sono stati diversi scontri. Nel 2011 Erdoğan ha provato ancora una volta a cancellare la festa, con il risultato di ulteriori incidenti con le forze dell’ordine, “stiamo insieme per proteggerci e non permettiamo a nessuno di dividerci, questo è il messaggio”.
Antonio Olivieri Tra i partecipanti dello scorso anno anche il nostro connazionale Antonio Olivieri, presidente di Verso il Kurdistan, espulso dal governo di Ankara e pochi giorni fa respinto alla frontiera perché personaggio non gradito, per aver mostrato sensibilità alla causa curda. Puntuale il comunicato di solidarietà da parte di varie associazioni, tra cui Europa Levante – attiva nella promozione della collaborazione tra Ue e le aree oppresse ai suoi confini. Non si tratta del primo episodio, si legge, di certo “non è la strada per la costruzione di un dialogo sollecitato da più parti”. Appare chiaro il tentativo di isolare ogni simpatizzante straniero, comportamento inaccettabile per un paese che mira all’ingresso nell’Unione Europea.

Il centro culturale Ararat Occupato dal 1999, il centro prende il nome dalla nave con cui arrivarono i primi curdi in Italia. La funzione è di accoglienza per i richiedenti asilo dal Kurdistan, con 60 posti a disposizione e un’ampia rotazione una volta che si ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato. “Preferiscono l’Ararat ai Cara, sia perché i secondi sono pieni, ma soprattutto per riscoprire se stessi, l’identità culturale”, racconta Baran. “Ci sono molte iniziative, sulla musica, la danza, cui partecipano varie associazioni e molti italiani. Si tengono informati guardando la tv curda, in più vengono aiutati con la burocrazia”. I motivi della fuga possono essere diversi. Innanzitutto coinvolge maggiormente i giovani, “perché non ancora sposati, chi ha una moglie e figli tende a rimanere”. Alcuni scappano per non svolgere il servizio militare, “che li potrebbe costringere ad uccidere i propri connazionali, magari parenti ed amici”. Oppure per la povertà, “il nazionalismo sul posto di lavoro vieta di esprimerti ed espone ad attacchi, anche nelle università è lo stesso, a volte neanche ci si può iscrivere”. Chiaro come diventi impossibile un percorso di crescita che consenta di mantenersi dignitosamente.

Proiezioni di documentari e foto In apertura è stato proiettato il documentario di Maurizio Fantoni Minnella “Dietro le mura di Diyarbakir”, immagini della capitale riprese nello scorso luglio, in periodo di Ramadan, che mostrano lo spaccato quotidiano. “Il film non parla, lascia parlare la gente”, commenta il regista presente in sala. “È lo sguardo di un italiano curioso, ammirato e affascinato, attraverso i luoghi e le atmosfere, adeguandosi ai ritmi lenti, dovuti al caldo – 47 gradi all’ombra – e al non potersi dissetare per il digiuno”. Si vedono infatti diversi uomini dormire nelle moschee, bambini che, esentati dalla purificazione, possono giocare in piscina, altri che trovano refrigerio con un gelato, anche se stona vedere tra i più piccoli le maglie di squadre del campionato turco, come Galatasaray e Beşiktaş. A seguire, il progetto fotografico dell’associazione Camera 21, che ha coinvolto diversi ospiti dell’Ararat, che dopo un mese e mezzo di laboratorio finanziato dalla Provincia di Roma hanno raccontato il loro modo di vivere l’Urbe, nel centro di accoglienza e per le strade: “partecipare è stata una grande gioia”, dichiarano in coro i ragazzi, “abbiamo potuto esprimere ciò che vediamo con i nostri occhi, le difficoltà e quello che ci fa piacere”.
Gabriele Santoro(21 marzo 2013)