Albanesi in Italia, 20 anni per ribaltare uno stereotipo

La nave Vlora, dalla quale sbarcarono 20 mila albanesi nell’agosto ’91

Sono passati poco più di venti anni da quando, nei primi ’90, gli sbarchi disordinati di albanesi in fuga da un regime ormai morto, prima, e dalla crisi finanziaria più tardi, esposero l’Italia ad un fenomeno che non aveva avuto precedenti e che per questo fu cavalcato da certi media e forze politiche per instillare paure sulla sicurezza nei nostri concittadini. Ora, a una generazione di distanza, fortunatamente  è sparita l’immagine dell’invasore albanese, naturalmente propenso alla criminalità, che per troppo è stata propinata, grazie al risultato del duro lavoro di una comunità ben consolidata e rafforzata dal rapporto storico che i due paesi vantano. Sono oltre 27 mila gli imprenditori nel Belpaese, che creano occupazione anziché concorrere a sottrarla agli italiani, come temuto. Sviluppo riflessosi di conseguenza sulla terra d’origine, entrata nella cornice comunitaria: dal 2011 i loro cittadini possono spostarsi liberamente nell’area Schengen per tre mesi senza bisogno di visti. Questi gli spunti principali da cui è partita la conferenza “Gli immigrati albanesi nel contesto della collaborazione italo-albanese”, tenutasi il 19 marzo nella sala della banca Monte dei Paschi di Siena, nei pressi della galleria Alberto Sordi.

Distorsione mediatica Dalla solidarietà del 1990, quando migliaia di albanesi si rifugiarono nelle ambasciate occidentali, in meno di un anno si è passati all’ostilità diffusa, “solo le aziende mostravano di apprezzarli per il loro impegno, non certo per buonismo ma per puro pragmatismo”, ripercorre alcune storiche tappe Marco De Giorgi, direttore generale dell’Unar, Ufficio Nazionale antidiscriminazioni razziali . Arrivare alla normalità non è stato certo facile, considerando anche la serie di eventi, dalla crisi finanziaria alla guerra del Kosovo del ’99, in questo gli accordi tra i governi sui flussi hanno almeno debellato il fenomeno dello scafismo e superato quello della clandestinità. “La corretta informazione e la conoscenza sono l’antidoto alla discriminazione”, prosegue De Giorgi, “bisogna favorire le relazioni dirette, dalle scuole ai luoghi di lavoro, una società diversificata è sostenibile”. L’etichetta di criminali fu dovuta proprio al non giusto utilizzo dei dati, guardando solo alla percezione dell’opinione pubblica. “Nei confronti omogenei con gli italiani, equiparando le classi di età, il tasso di delinquenza era lo stesso”, aggiunge Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione. “Un sesto delle denunce era relativa ad ingressi irregolari”, di certo meno gravi di una condotta malavitosa. La vicinanza più importante è però “a livello culturale, per la prossimità geografica ci amano e si sentono imparentati con noi, apprendono rapidamente la lingua, la storia, ci considerano la seconda patria”.

Giuseppe Bea, Cna

L’impatto socio-economico Su circa mezzo milione di presenti nel nostro territorio, prima comunità europea tra i non Ue, 27 mila sono imprenditori, il 10% del totale delle aziende straniere, “in tempo di crisi è un fenomeno interessante”, commenta Giuseppe Bea, responsabile dell’ufficio per l’integrazione degli immigrati del Cna. L’80 % è nelle costruzioni, che richiedono un più basso capitale di partenza, soprattutto nelle regioni del centro-nord, dove la produzione nazionale è più forte. Nonostante le difficoltà di accesso al credito, “si stima che nei prossimi anni aumenterà la competitività, ma non in conflitto con le imprese italiane”. Una piccola parte è nel commercio e nella manifattura, con il vantaggio di operare in comunità con forti elementi solidali, “per una società multietnica che punta allo sviluppo comune del paese”.

Statistiche In controtendenza con la maggior parte dei migranti, la prevalenza è nettamente maschile, con le donne appena al 46%. L’età media è di 31,7 anni, il 36% ha tra i 18 e i 34, i minori sono ben il 25%. Tra le ragioni del soggiorno sono in ascesa i motivi familiari, che sono arrivati a coprire il 60% degli arrivi nel 2010. Il 57% ha un permesso di lungo periodo, 8 punti percentuali in più rispetto ai cittadini non Ue. Per quanto riguarda l’istruzione, l’82% dei minori frequenta una scuola, con un incremento del 3% tra il 2010-2011 e il 2011-2012. Gli iscritti all’università sono quasi 12 mila, il 23%, primato tra gli stranieri, ma qui il genere si ribalta, visto che 2/3 sono donne. Le cittadinanze concesse sono oltre 5 mila, il 14% del totale, al secondo posto. I dati sul lavoro riportano solo un 52% di occupati, visto che il gentil sesso tende più ad occuparsi della casa. Detto dell’edilizia, l’industria assorbe il 35,5%. Interessante il livello di reddito, più del 50% guadagna almeno mille euro mensili, contro 1/3 dei non comunitari.

Shqiponja Dosti

Il ruolo sullo sviluppo del paese d’origine Dal 2000 il tasso di emigrazione è calato dal 10,6 al 3,3%, sia per le migliori condizioni che per le chiusure di Italia e Grecia, principali destinazioni e il potenziale resta alto solo nelle aree rurali. Un impatto importante è stato quello delle rimesse, ma dalla crisi del 2008 il decremento è stato sensibile. A livello macroeconomico ha contribuito in termini di stabilità finanziaria e valutaria e di riduzione del deficit, ma ha creato poco lavoro. Negli ultimi anni si è invece affrontata la questione del ritorno in patria, che potenzialmente coinvolge il 45% dei migranti. “Il valore aggiunto, dato dal capitale umano ed economico, potrà conferire maggiore attrattività per eventuali investimenti esteri”, ritiene Emanuela Del Re, docente di sociologia politica e albanologa. Sono già in piedi le prime iniziative per il reintegro, per ora sportelli di consulenza, “ma si lavora anche in ottica di ingresso nell’Ue, l’elemento cruciale sarà la consapevolezza dei fenomeni migratori e la relativa capacità di gestione, per politiche condivise verso lo sviluppo comune”. Shqiponja Dosti, funzionario Cgil, pone invece la questione del voto per gli albanesi all’estero, di fatto sancito dalla Costituzione agli articoli 8 e 45. “È previsto, siamo iscritti nelle liste, ma si dovrebbe tornare in Albania per esercitarlo”, creando non pochi problemi pratici. “Le legislazioni passate non hanno risposto alle richieste, noi vorremmo partecipare anche per riconoscenza per che l’Albania ha fatto”. Discorso che si ricollega al diritto di voto per gli immigrati in Italia, “finchè non valiamo niente, non siamo presi in considerazione”. Il 2013 è anno europeo della cittadinanza, “che la nuova legislatura porti anche un vento di cambiamento”.

Gabriele Santoro(20 marzo 2013)