Multiculturalità, una marcia in più?

Aziende cercano giovani multiculturali. Per aprire un businnes con paesi emergenti, le aziende cercano persone tecnicamente qualificate, che in più abbiano buona dimestichezza con altre culture. A Milano se ne occupa Bonboard, una società specializzata nel collocamento di chi può vantare l’appartenenza a mondi diversi: giovani cresciuti con genitori stranieri, che in famiglia parlano arabo, cinese, urdu e fuori parlano in corretto italiano; persone in dialogo quotidiano con parenti e amici che vivono altrove; studiosi appassionati di lingue e stili di vita a noi lontani. La multiculturalità fa la differenza, si legge nel depliant di Bonboard. Ma sarà poi vero? 

Iliana El Moutii e un’amica

Utile e dilettevole. Iliana El Moutii, 30 anni, italiana di famiglia marocchina è assistente di direzione in una società che costruisce oleodotti, autostrade e grandi infrastrutture, esclusivamente in paesi di lingua araba. “In un certo senso mi trovo qui per caso. Quando studiavo Lingue e civiltà orientali sapevo che quelle conoscenze le avrei utilizzate, ma il lavoro non l’ho cercato io, è l’azienda che ha trovato me. Ora mi ci trovo bene, mi stanno aprendo una carriera”. Iliana, coltiva le culture nord-africane per passione. “Facevano parte del mio mondo infantile”, racconta e gli occhi brillano ricordando tante vacanze estive in Marocco. “Crescendo ho perfezionato l’arabo, mi piace molto anche il persiano. Le lingue mi danno piacere, come del resto la danza marocchina che non smetto di esercitare. Con sorpresa – dice – il multiculturalismo mi ha portato in regalo un contratto indeterminato a tempo pieno”.

Iliana ha incontrato un’azienda che ha bisogno di lei come il pane: rara fortuna o un futuro possibile per altri giovani che condivido interessi analoghi? Silvia Maiella, 26 anni, è traduttrice con laurea specialistica (inglese, francese, tedesco), mediatrice culturale, esperta d’insegnamento dell’italiano agli stranieri. Ama coltivare tribal fusion e danze orientali, viaggia con Avventure nel mondo, frequenta varie associazioni come Le mille e una notte, Arabismo e Piuculture.

La giornata di Silvia è pienissima. “Sto facendo di tutto. In alcune scuole materne insegno l’inglese attraverso il gioco, in un centro ricreativo per ragazzi insegno francese attraverso il teatro, al liceo Virgilio tengo un corso di preparazione agli esami Delf, in una casa famiglia faccio la mediatrice con i genitori adottivi, durante la fase di inserimento del bambino straniero e, naturalmente faccio anche traduzioni a casa”. Mentre elenca il suo portfolio gonfio di attività, tra le quali va incluso il volontariato con l’associazione Piuculture, Silvia mostra una certa fiducia nel futuro lavorativo. Le domando dove tragga l’energia per mettere insieme tanti lavori. “Vedi, le persone come me, quelle che lavorano nell’intercultura, hanno un certo modo di guardare il mondo. Ci piace viaggiare e ci piace aprirci a persone diverse. Quando incontro stranieri con le famiglie sparpagliate, che devono abituarsi all’incertezza, imparo da loro. Il contatto umano mi trasforma”. E aggiunge una notazione sottile: “Tra i compagni di università con cui ho studiato, quelli che non erano aperti agli altri, poi hanno mollato le lingue e si accontentano di lavori tradizionali.

Intercultura fa rima con avventura, anche nella vita di Bernadette Fraioli. Dopo una laurea triennale in mediazione linguistica e culturale, ha fatto esperienza per un mese in un orfanatrofio a Likonio (Kenya). Scoprendone lati buoni e meno buoni della cooperazione internazionale, che ha voluto raccontare in un libro appena uscito per Albatros (Msungo addio. Storie di patate, masai e canti africani, 2013). A Roma ha trovato lavoro come commessa part-time e mediatrice culturale in un centro di accoglienza per minori stranieri. “Il contatto coi bambini, quasi tutti musulmani, ha acceso in me l’interesse per le religioni. Non sono credente, precisa, semplicemente mi sono resa conto che, per capirli meglio, dovevo approfondire l’islam”. Quando all’Università La Sapienza è uscito un master in religioni e mediazioni culturali, Bernadette ha mollato il mezzo lavoro sicuro, per inseguire questo nuovo interesse. “Ho rinunciato – precisa – a 600 euro per 20 ore al mese. Ma valeva la pena. Al master ho imparato moltissimo, ora sono iscritta al corso di laurea specialistica in Scienze e storia delle religioni e la prossima tappa sarà un corso per insegnare italiano agli stranieri (Ditals)”.     

Dal volontariato al lavoro. Domando dove pensa che questi investimenti possano costruire un avvenire economico. Bernadette conta sul settore formazione, vede crescere la domanda di mediatori nella scuola dell’obbligo e la domanda di formatori per gli stranieri adulti. “Lo so che mancano finanziamenti pubblici, però i bisogni sono reali …. Per ora lavoriamo a progetto, in modo saltuario, quasi a livello di volontariato, ma sono convinta che, prima o poi, le istituzioni dovranno dotarsi di figure professionali stabili”. E conclude “Dobbiamo batterci perchè questo avvenga”.

Donne musulmaneMediazione inter-religiosa. In questi ultimi anni sono cresciute offerte formative nella mediazione culturale, con approfondimento nelle varie religioni del mondo. Si tratta di un’offerta trainata o svincolata da effettiva domanda di lavoro? Ne parliamo con Teresa Doni dirigente di Asus (Accademia di Scienze Umane e Sociali), un’associazione che a Roma organizza corsi in mediazione culturale e religiosa in collaborazione con l’Università pontificia salesiana. Alcuni corsi  si tengono nei fine settimana per consentire la partecipazione da fuori città. Orientando a quale sbocco professionale? Teresa Doni è consapevole che un ente formativo, quando si avventura su terreni nuovi, ha difficoltà a individuare settori specifici di impiego; si lascia guidare da intuizioni e segnali raccolti occasionalmente. Elenca anche qualche riscontro positivo. Una signora, venuta dalla Sicilia, sta facendo pratica in uno studio di avvocati che aprirà uno sportello dedicato a clienti stranieri. Un’italo-argentina, impiegata alla Camera di commercio di Roma, ha scelto il corso in vista di un settore di scambi con il Sud America. Una veterinaria impiegata alla Croce Rossa ha sentito che l’Ospedale di Potenza sta aprendo un servizio di mediazione per genitori di bambini stranieri e spera di essere chiamata. I corsi vengono frequentati anche da insegnanti delle superiori, che semplicemente vogliono capire meglio le culture altre. “Il successo professionale, precisa Doni, dipende molto dalla qualità degli stage. Per i nostri corsisti cerchiamo realtà pubbliche e private, dove ci sembra che emerga una domanda effettiva”.

Formazione e lavoro. Asus e Università Salesiana inaugurano a fine marzo un corso dedicato alla mediazione nel settore della comunicazione. Mauro Mantovani direttore del corso sottolinea la novità di offrire una formazione interculturale orientata ai mestieri della comunicazione, riconoscendo però che ruoli e settori d’impiego indicati nel programma sono puramente indicativi: addetto stampa, relazioni pubbliche, new media. I mediatori-comunicatori potrebbero essere richiesti in sanità, nei centri di accoglienza per stranieri, in ambienti giudiziari, negli uffici di relazioni con il pubblico (URP), ecc. Però, come spendere le nuove competenze è un compito in gran parte affidato ai frequentanti. Il rischio ricade sul soggetto che si forma. Per questo, gli ex-allievi Asus hanno creato l’associazione AMII, con l’intento di rinforzarsi vicendevolmente nella ricerca di lavoro. Rimane aperto l’interrogativo di fondo, se l’intercultura in futuro resterà una competenza di nicchia o potrà dare una marcia in più utilizzabile su una gamma vasta di settori produttivi.

(1.Continua)

Paola Piva

(7 marzo 2013)