Il 14 aprile si sono tenute in Venezuela le elezioni per determinare il successore di Hugo Chavez, scomparso il 5 marzo. La vittoria del delfino del caudillo, Nicolas Maduro, è stata aspramente contestata dall’opposizione, vicina al candidato Henrique Capriles, visto che le stime del numero di votanti per quest’ultimo non corrispondono al risultato effettivo e che lo scarto di circa 250 mila preferenze, pari a poco più dell’1%, ha lasciato forti dubbi di irregolarità nel conteggio delle schede tra i sostenitori dello sfidante. Il Consiglio Elettorale Nazionale, sotto pressione, ha acconsentito ad una verifica del 46% dei voti, ma si tratta di una pura formalità, dato che l’esito rimarrà “irreversibile”, come dichiarato dal Consiglio stesso. Di fatto, Maduro ha già prestato giuramento come nuovo presidente per il mandato 2013-2019.
Manifestazioni di protesta si sono tenute in diverse città d’Italia e d’Europa, il 21 aprile è stato il turno di Roma, dove in piazza dei Cinquecento, accanto alla stazione Termini, un nutrito gruppo di venezuelani provenienti anche da altre regioni del Centro, ha espresso il proprio dissenso esponendo le criticità di una situazione poco chiara, con l’obiettivo di far sapere cosa sta succedendo nel loro Paese, alternando alla rabbia e frustrazione canti tradizionali e qualche lacrima per una terra che sembra non uscire da una deriva autoritaria. Le circa tremila violazioni di un normale processo elettorale segnalate non sono state prese in considerazione, così come molte perplessità restano sul peso effettivo che abbiano avuto i votanti residenti fuori dai confini nazionali.
Voto dei venezuelani all’estero Per l’opposizione i voti dei venezuelani all’estero non sono stati conteggiati, “avrebbero potuto fare la differenza”, sostiene Maria Elizabeth Patino, che aggiunge come “nell’emigrazione dal Venezuela sta progressivamente aumentando il numero di chi va via per motivi politici”. Un altro manifestante racconta che il documento della moglie, residente in Italia, sia stato usato al seggio in patria e che “stranezze come questa non sono rare”. Ad una donna è stata impedita l’iscrizione negli appositi registri elettorali, adducendo la scusa della necessità di un permesso dal Venezuela che nelle precedenti tornate non era mai servito. Infine diversi hanno riscontrato troppi ostacoli nei cambi di residenza dal Sudamerica all’Italia, al fine di costringere l’elettore a tornare per esercitare un diritto riconosciuto costituzionalmente.
Informazione I network locali sono tutti vicini al governo, per non parlare della tv statale, “che mandava 4 ore al giorno di propaganda per Maduro”, confermano più voci. E chi non è legato ai poteri forti, ha comunque paura di ripercussioni e si autocensura. “L’unica emittente libera era Globo Vision”, spiega Marinellys Tremamunno Arcila, giornalista e tra gli organizzatori della manifestazione, “ma ora è stata messa in vendita”. Il modo migliore di comunicare e far circolare le idee restano i social network, come i gruppi facebook, ma anche qui con la cautela dovuta, “gli impiegati pubblici sono sempre sotto minaccia di licenziamento”.
La paura per chi sta in patria La Arcila presenta un quadro inquietante, con ripetute violazioni dei diritti umani, “la polizia spara in aria per disperdere manifestanti o ad altezza d’uomo con i proiettili di gomma, addirittura contro le case di chi protesta facendo rumore con le pentole” – il cacerolazo tipico anche di altri paesi sudamericani. “Altre volte vengono assoldati delinquenti comuni per fare il lavoro sporco”. Caracas è fra le tre città più violente del mondo, stimata alla pari di zone di confine tra Messico e Stati Uniti dove imperversano guerre per il controllo del narcotraffico. “La paura viene usata come pretesto per tenere tutti a bada e stringere i controlli”, interviene il padre della Arcila, che vive in Venezuela. “Come contentino è garantita l’assistenza economica ai più bisognosi, ma le industrie chiudono, numerose ditte internazionali hanno lasciato il paese per il clima di insicurezza. Rapine e sequestri sono all’ordine del giorno ed anche il turismo ne risente”.
Riflessi sul voto Un simbolo di queste elezioni potrebbero essere le foto di militari che danno alle fiamme numerose urne con dentro migliaia di schede elettorali valide. È vero, nell’era di Photoshop e di una comunicazione che bada più al titolo da prima pagina che alla verifica e all’approfondimento diventa difficile riconoscere oltre ogni ragionevole dubbio la verità sostanziale. Ad ogni modo non si tratta delle uniche prove presentate – ed ignorate. “Centinaia di studenti sono stati incarcerati, in altri casi c’è stato l’accompagnamento fisico alle cabine, come accade per i portatori di invalidità”, prosegue la Patino. “Hanno trovato un metodo di farsi dare una sorta di ‘ricevuta’ e dimostrare la preferenza filo-governativa, minacciando licenziamenti in caso contrario. Se in famiglia si è l’unica fonte di guadagno, non ci si può permettere di rischiare, questo ricatto incide sul meccanismo elettorale e quindi democratico”.
Gabriele Santoro(22 aprile 2013)