
“Dove troviamo la speranza per ripartire?” chiede Concita De Gregorio, aspettandosi una risposta da maestro, aspettandosi una risposta complicata, aspettandosi qualcosa che non c’è e invece c’è ed è sotto gli occhi di tutti. Peter Brook lo sa e non si sente affatto un maestro “ciò che non mi piace dell’Italia è che mi chiamano tutti “maestro”: io non sono maestro di nessuno, io sono come voi, nessuno ha il diritto di insegnare niente, è un atto criminale”. Quindi, la speranza per ripartire è solo “da dove siamo”.
12 aprile, Teatro Valle Occupato, incontro aperto con uno dei più grandi registi del teatro contemporaneo, un evento unico, reso possibile grazie alla collaborazione del produttore teatrale Andres Neumann e del Centro Culturale Il Funaro, un piccolo angolo di paradiso sudamericano nel cuore di Pistoia, dove si cuociono le idee. Incalzato dalle domande a sfondo politico, di chi continua a cercare fuori ciò che magari è già dentro, o comunque deve necessariamente partire da dentro, Brook risponde “non voglio fare il profeta politico, ma sicuramente, se si può dare speranza, questo è un atto politico del teatro. Non intendo quella speranza stupida o ingenua, intendo la speranza reale. Se si riesce a creare una buona opera, questa presenta talmente tanti punti di vista opposti che il pubblico può penetrarli in modo così totale da pensare più attivamente: nel momento in cui tutti hanno la possibilità di aprire una situazione e (ri)capirla, questo è teatro e questo è fare politica”. Il pubblico applaude e lui ringrazia, concludendo scherzando: “grazie per gli applausi, ma non esagerate sennò penso che devo candidarmi anch’io come Presidente!”

“Negli ultimi 100 anni ciò che è cambiato nel teatro è stata l’influenza del cinema: la verità che emanava dalla celluloide ha attraversato l’attore: prima non c’era coinvolgimento con la propria vita interiore, ma con il cinema l’attore non ha dovuto più nascondersi dietro nessuna maschera. Oggi tutti portano la propria coscienza e consapevolezza. Che non significa semplicemente essere sé stessi: in questo modo diventerebbero poveri e fanatici, un buon testo porta tutti – autore, attore e pubblico – a guardarsi dentro e scoprire più livelli di sé. La cosa difficile, rispetto al cinema, è mantenere e comunicare questa verità senza l’ausilio dei primi piani”.
Il film The Tightrope (Il funambolo, 2012) del figlio Simon Brook, ripresentato in questa occasione dopo la 69esima Mostra del Cinema di Venezia, filma per la prima volta in assoluto, dopo 40 anni di carriera, i dietro le quinte del lavoro di Brook – in particolare su Il Flauto Magico di Mozart – rivelando i segreti del suo metodo. Attraverso telecamere nascoste è stato illuminante poter sbirciare come ognuno dei suoi attori intraprendesse in modo “culturalmente” diverso un “semplice” esercizio: procedere su un filo immaginario. Perché, come con Pina Bausch, guardare alla squadra di Brook, è come guardare a un grande microcosmo:
- Franck Krawczyk – musicista e compositore francese
- Toshi Tsuchitori – musicista e compositore giapponese
- Marie-Hélène Estienne – collaboratrice di Peter Brook
- Hayley Carmichael – attrice inglese
- Jos Houben – attore belga
- Micha Lescot – attore francese
- Marcello Magni – attore italiano
- Khalifa Natour – attore palestinese
- Yoshi Oida – attore giapponese
- Abdou Ouologuem – attore maliano
- Cesar Sarachu – attore spagnolo
- Shantala Shivalingappa – attrice e ballerina indiana
- Emily Wilson – attrice statunitense
- Lydia Wilson – attrice inglese

L’esercizio della fune è un esercizio di “pura immaginazione e corpo”: un esercizio di sensibilità che rivela l’importanza di indirizzare “tutto il corpo verso un obiettivo”, di mantenerlo “reattivo, altrimenti si dimentica la verità“, perché l’importante è “partire dall’inizio e arrivare alla fine in modo sempre vivo e interessante”, senza preoccuparsi, soprattutto, di dover arrivare troppo presto. Mentre esorta i musicisti a far ascoltare agli attori una stessa musica in tonalità allegre o cupe, Brook osserva l’attrice indiana cadere dalla fune immaginaria, esortandola a risalire senza preoccupazioni; osserva l’attore giapponese che mostra impaurite espressioni del viso, “eccessive, nessuno salirebbe su una fune se non fosse sicuro di ciò che sta facendo”; ride osservando i giochi che si inventa l’attore italiano.
“Come si fa a realizzare un teatro che sia reale? È talmente facile scivolare nella tragedia o nella commedia. Ciò che importa, soprattutto, è mantenersi sul margine, sottile come una lama, della fune…”. Bisogna avere chiara la realtà dell’immaginazione. E bisogna sempre avere in mente l’immagine di una clessidra che scorre, granello per granello: essere consapevoli del senso del tempo, senza farsi cogliere dalla fretta o dall’ansia, perché solo la calma può portare al flusso, all’ispirazione, all’azione. Queste sono le speranze reali.
Alice Rinaldi
(18 aprile 2013)
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