Pohela Boishakh, il capodanno bengalese a Roma

Il Noboborsho è il primo giorno dell’anno bengalese, si è entrati nel 1420 del loro calendario tradizionale, il Bangabda, anche se in realtà quello usato in Bangladesh è il gregoriano, a dispetto di una prevalenza di musulmani, il 90% della popolazione.

Milon mentre aspetta in una lavanderia fai-da-te

“Sono nato nel 1974 e ricordo che ho sempre usato il calendario inglese” dichiara Milon, lavapiatti che vive da dieci mesi a Roma, la moglie e le due figlie sono rimaste a Dhaka. Come molti suoi connazionali, Milon, per motivi di lavoro, non andrà alla festa che dal 24 al 28 aprile coinvolgerà il parco di Centocelle, ex aeroporto di via Casilina.

“Lavoriamo sempre, non abbiamo tempo,” sottolineano i tre gestori del banco di frutta di piazza Regina Margherita. “Sono senza famiglia e il mio internet-point sarà aperto come sempre” spiega Farid, in Italia da 12 anni. Abita in zona Garbatella ma lavora tutto il giorno su via Nomentana. Danvir, invece, è arrivato all’età di dieci anni. Adesso ne ha sui venticinque, sa della festa ma ha perso contatto con la cultura della sua famiglia.

La celebrazione del Boishaki Mela è un’occasione per incontrarsi e trascorrere del tempo libero con spettacoli, concerti, degustazioni di piatti tipici. Sono in tanti a festeggiare nel parco di Centocelle, zona dove la comunità bengalese di Roma ha la sua massima concentrazione.

Bristi nel suo negozio di frutta, verdura e alimentari

“E’ aperta a tutti non ci siamo solo noi del Bangladesh,” sottolinea Bristi, che dimostra un età maggiore dei suoi vent’anni. “Tutti noi, donne, uomini, bambini, indossiamo vestiti nuovi dai colori accesi, soprattutto giallo e arancione. In via della Maranella ci sono negozi di abbigliamento bengalese, che è simile a quello indiano. Inoltre noi ragazze portiamo gioielli color oro e le perle.”

L’abito femminile si chiama sari, tipici anche i bracciali churi e i fiori ful. Il paejama è invece la veste tradizionale maschile, generalmente bianca, ma non mancheranno uomini con il kurta, una sorta di tunica, o ancora con il dhuti (o dhoti), una lunga gonna.

La festa, nata nelle realtà rurali in coincidenza con la raccolta del riso, con il tempo è divenuta importante anche nelle grandi città. Per l’occasione ci si sveglia presto e si attende l’alba in gruppo sotto gli alberi banyan, il ficus benghalensis – residuo delle origini agricole del capodanno –  intonando canzoni del repertorio nazionale. Dopo aver pulito a fondo la propria abitazione, si è soliti ricevere parenti, amici e vicini di casa. Numerose sono le fiere e le sagre, con la vendita di prodotti agricoli, artigianali, alimentari, accompagnate dai ballerini delle danze jatra, canti popolari, rappresentazioni teatrali, spettacoli di marionette e giostre.

Milu mentre torna a casa da lavoro, cameriere e receptionist

La giornata inizia con il panta bhat, la colazione tipica a base di riso, peperoncino verde, cipolla e pesce hilsa fritto. Altre pietanze tradizionali sono il panta ilish, sempre riso con hilsa e in più l’aggiunta di shutki, un pesce di fiume che “non va lavato, viene tenuto ad essiccare al sole per molti giorni. Puzza da morire, ma una volta cucinato capisci che ne è valsa la pena,” ride Milu, che fra dieci giorni compirà trentatré anni. È celibe e la cosa che più gli è mancata in questi sette anni in Italia è la cucina della madre. Altri accompagnamenti sono gli achar, sottaceti, e le dal, lenticchie. Non solo pesce, sulle tavole è facile trovare i samosa, sfoglie ripiene di carne e, per dessert, i babapita, dolci al cocco.

M. Daniela Basile e Gabriele Santoro
(24 aprile 2013)

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