A due anni dall’inizio delle “primavere arabe” l’impressione che si ha è che l’Italia sia stata più concentrata sui flussi migratori in entrata che non sull’enorme potenziale di trasformazioni socioeconomiche della sponda sud del Mediterraneo e del Medio Oriente, peraltro ancora espresso solo a tratti. È vero che i 62 mila arrivi del 2011 sono stati un numero superore alla media, da quando venti anni fa scoprimmo l’immigrazione di massa, ma si è trattato “del 5 per mille degli spostamenti internazionali, che hanno coinvolto 31 milioni di persone”, ricorda Riccardo Compagnucci, vice capo dipartimento vicario per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, intervenuto nel corso del seminario “Primavera araba, dopo due anni quali prospettive?” dell’11 aprile tenutasi nel Salone delle Conferenze del Sioi – Società italiana per l’organizzazione internazionale, nei pressi di piazza Venezia. “Stiamo perdendo l’occasione di parlare con i rifugiati, l’avanguardia nei loro paesi perché hanno intuito lo svilupparsi della situazione prima degli altri”.
A situazioni simili dovremmo essere abituati, a partire dai 28 mila albanesi arrivati nel ’91 sulla nave Vlora, passando per i kosovari, curdi, somali, ex jugoslavi, “un totale di 373 mila persone, 23 mila di media all’anno con picchi come quello del 2011. Bisogna anche essere realisti e capire che i mutamenti geopolitici non sono niente di fronte agli squilibri socioeconomici che il mondo sopporta”, prosegue Compagnucci. Perché i risultati di una rivoluzione abbiano effetto ci vuole tempo, “il lavoro congiunto da fare è sulla crescita democratica e dei diritti umani, la responsabilità europea non è di mettersi ad insegnare qualcosa, ma capire se c’è un effettiva voglia di cambiamento. Per questo la vicinanza geografica è fondamentale”.
Da inizio 2013 gli sbarchi sono scemati, dati ministeriali ufficiali ne riportano 8 dalla Tunisia, con 82 arrivi, e 7 dalla Libia con 603 persone. Questo sovraffollamento del secondo caso dipende dal fatto che è rimasta in vigore la sgradevole pratica del governo Gheddafi di sovraffollare i barconi per agevolare le partenze, con l’unico vantaggio di non dover pagare la criminalità organizzata per i cosiddetti viaggi della speranza. Ma al di là dei numeri, sono aumentati in proporzione i richiedenti asilo sulla normale emigrazione economica, con i primi che hanno raggiunto i 2/3, mentre fino al 2012 vigeva sostanziale parità.

Minori per l’Europa le cifre che coinvolgono i siriani. Del milione e trecentomila rifugiati, la quasi totalità si trova nei paesi confinanti, solo 200 mila le domande verso l’Unione Europea, concentrate soprattutto tra Svezia, Germania, Regno Unito e Svizzera. L’Italia ha ricevuto 288 richieste nel 2011, 335 nel 2012. Di queste il 25% sono state respinte, secondo quanto riporta Cristopher Hein, direttore del Cir – Centro italiano per i rifugiati.
“Si parla molto di ciò che non va, meno dei modelli che funzionano”, continua Hein citando il caso dell’Albania, paese che ha “un programma congiunto con l’Italia sia di investimenti economici che di formazione sui diritti umani, d’asilo, di legislazione in materia. Il risultato è che ora l’Albania è matura per assorbire domande di protezione internazionale. In Libia questo ancora non viene fatto. Continuano le detenzioni arbitrarie, senza spiegazioni o difesa di avvocati. Se questa è l’offerta, i controlli via mare non basteranno per fermare chi non ha nulla da perdere”.
Gli atteggiamenti anti-islamici in Europa sono fonte di preoccupazione, “in Italia i musulmani sono più di una minoranza da relegare o con cui confrontarsi con senso di superiorità, servono nuove relazioni basandosi sulla comprensione dei valori umani e culturali”, aggiunge Savino Pezzotta, presidente del Cir. L’Ue ha mostrato indifferenza dal punto di vista umanitario, o ci convinciamo che la nostra terra è il Mediterraneo o rimarrà penalizzata anche la nostra politica. Chiuderci nel nostro angolino non aiuta, possiamo arricchirci attraverso il dialogo con le realtà giovani di questi paesi”.

Una rivoluzione scippata? L’entusiasmo di due anni fa per le rivolte si è spento, o comunque assopito. Internet , il nuovo veicolo, non ha più l’efficienza travolgente, “i militanti non hanno tutto quel seguito, non avevano capito l’importanza dei Fratelli Musulmani, la realtà è più complessa del virtuale ed è stata gestita male”, commenta Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera. Il ruolo della tradizione religiosa ha prevalso sul laicismo di giovani e donne, “le masse agrarie dell’entroterra, più arretrate e con redditi più bassi anche di dieci volte rispetto alle città, hanno avuto più peso alle urne”, interviene Stefano Rizzo, autore del libro “Le rivoluzioni della dignità” e docente di Relazioni internazionali alla Sapienza. “Si può vedere come tappa di un processo o, con pessimismo, dello ‘scippo’ del cambiamento da parte delle frange conservatrici”.
La libertà è maggiore, dal punto di vista politico, di opinione, della stampa. “Ad esempio in Bahrein sono stati assolti 21 medici che avevano aiutato i manifestanti e condannati dei poliziotti accusati di omicidio, sono segnali importanti”, chiude Rizzo. “Ma i mutamenti sociali sono un altro campo, ci vogliono il giusto tempo e l’evoluzione dei costumi. Le premesse ci sono, grazie anche ai processi di globalizzazione”
Gabriele Santoro(12 aprile 2013)