La sacralità del diritto d’asilo, parallelo con l’antica Grecia

550_x_supplici-mediterraneo-polifonico“Siamo esuli in fuga, non al bando per un fatto di sangue, condannate dal voto della nostra città, ma in fuga dai maschi della nostra stirpe, perché l’unione con i figli di Egitto e la loro empia intenzione noi aborriamo” (Le supplici, Eschilo, 463 a.C.).Con questi versi del primo grande tragediografo greco con cui si è aperto l’appuntamento alla libreria Incontro Einaudi del 22 maggio, occasione per mettere in parallelo il diritto dei richiedenti asilo attuale con quanto accadeva nei tempi antichi.

Danao ed Egitto erano due re gemelli che condividevano il trono d’Egitto, il primo aveva avuto cinquanta figlie, il secondo altrettanti maschi, ed era stato tentato di imporre un matrimonio tra consanguinei, ma le ragazze, rifiutando, erano scappate verso Argo, chiedendo ospitalità al re Pelasgo. Questo si troverà davanti ad un dubbio lacerante, concedere il rifugio alle supplici, consuetudine inviolabile perché sotto la protezione di Zeus, o rischiare una guerra con l’Egitto, con tutte le conseguenze nefaste che un conflitto porta. La lotta è per l’affermazione della giustizia, “per capire da che parte è l’obbligo maggiore”, spiega Cristiano Scagliarini, docente di latino e greco all’istituto classico Giulio Cesare, di corso Trieste.

La decisione deve essere presa con il popolo, un concetto di centralità dell’assemblea che non è ben chiaro alle danaidi, abituate all’assolutismo monarchico – in realtà si tratterebbe di un anacronismo usato da Eschilo, che viveva negli anni della riforma di Efialte che nel 462 a.C. diede inizio alla “democrazia radicale”. Il voto della comunità sarà unanime, “come un solo corpo”, nell’accordare l’accoglienza alle donne. “La giustizia fonda la democrazia, che a sua volta genera giustizia in un circolo virtuoso”.

padre Giovanni La Manna
padre Giovanni La Manna

Il parallelo con l’attualità diventa impietoso, “la realtà che vivo mette tristezza, c’è un impoverimento culturale prima ancora che economico”, lamenta padre Giovanni La Manna, presidente del centro Astalli per i rifugiati. “Il diritto sacrosanto d’asilo è sempre esistito, una volta allo straniero si offriva il meglio in relazione a quanto si poteva. Ora la Germania fa fatica a rimandare in Italia i richiedenti asilo, secondo quanto detta la Convenzione di Dublino, perché il trattamento è disumano e degradante, quando si legge una sentenza così da parte di un tribunale non si può non provare vergogna”.

“Sarebbe più dignitoso che l’Italia cancellasse la firma dalla Convenzione di Ginevra”, non usa mezzi termini padre La Manna sulla ratifica del corpo giuridico di diritto internazionale avvenuta nel 1951. “Ma quando si tocca il fondo ci si deve risvegliare, senza alibi, partendo dalle decisioni prese dal singolo nel quotidiano. Se non trasformiamo le nostre vite non cambierà chi ci rappresenta al potere, il consenso non viene dall’alto”.

La storia di Omer Hassan Dopo la proiezione del breve video “For whom it may concern”, realizzato da Zakaria Mohamed Ali per Archivio Memorie Migranti, Omer Hassan ha raccontato la sua esperienza nell’ultima parte del viaggio dal Sudan. “Siamo partiti dalla Libia un venerdì, giorno di riposo per i musulmani e con meno controlli, imbarcati alle due di notte”. La promessa fatta era che sarebbero arrivati in massimo 24 ore, “noi ci credevamo, in più in televisione vedevamo le bellezze dell’Europa, nessuno pensava ai pericoli di morte”.

Omer Hassan
Omer Hassan

Già al secondo giorno in mare il primo grave problema, con il gommone che iniziava a sgonfiarsi. “Al terzo giorno l’acqua ci arrivava al petto, abbiamo buttato il motore per alleggerire il peso”. Senza acqua e cibo, affidati solo al vento, la salvezza è stata l’incontro con una nave che ha segnalato alle autorità la loro presenza. “Sono venuti gli elicotteri a prenderci e portarci a Lampedusa, dove siamo rimasti due settimane perché in condizioni disperate”.

Dopo qualche mese ad Agrigento, il trasferimento a Londra nel 2004, durato solo un anno. Per quanto stabilito dalla Convenzione di Dublino, bisogna risiedere nel primo paese in cui si è chiesto asilo, quindi nel 2005 il ritorno in Italia, a Roma. “Ho studiato la lingua, fattore fondamentale per l’integrazione”. Poi tanti corsi professionali e lavori, dall’alberghiero, al cameriere, al pizzaiolo, fino all’assistenza familiare per i disabili. Da due anni ha trovato impiego in un centro d’assistenza per minori.

Dopo l’indipendenza del Sud Sudan nel 2011 la situazione nel paese di Omer non è ancora stabile, conflitti proseguono proprio nella sua zona di provenienza, il Darfur, ad occidente. “Non posso tornare in Africa, ma riesco a sentire la mia famiglia spesso, la situazione è ancora brutta, è così da 25 anni”.

Gabriele Santoro(23 maggio 2013)