Inserimento rifugiati, una realtà da rendere sistematica

Nadan Petrovi, dell'Oim
Nadan Petrovi, dell’Oim

Cofinanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati 2008-2013, la regione Lazio ed il ministero dell’Interno, il progetto In.Se.Ri.Re mirava all’integrazione socio-economica dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale nella nostra regione focalizzando gli sforzi su corsi di orientamento civico, professionali, contributi all’alloggio e assistenza sanitaria. I risultati, presentati la mattina del 28 giugno nella sede della regione Lazio, hanno superato ogni aspettativa. “Abbiamo optato per una nuova modalità di intervento”, ha spiegato Nadan Petrovic, dell’Oim, “cercando di coinvolgere almeno un migliaio di beneficiari contro i 65 previsti dal bando”.

L’Italia è il quarto paese nell’Unione Europea per numero di domande di asilo, “questa situazione non si può affrontare con prospetti validi ma piccoli”, continua Petrovic. La sperimentazione di questo progetto è stata nel “mettere in rete realtà ed eccellenze tramite misure propedeutiche che aprissero all’integrazione, a partire dall’orientamento civico-culturale”. Da anni l’Oim organizza corsi di questo tipo nei C.a.r.a. governativi, ora è stato fatto su vasta scala, con oltre 1100 iscritti per 546 attestati consegnati. “Abbiamo rilevato profili lavorativi, arrivando a rompere il tabù per cui il rifugiato è un peso assistenziale a differenza del migrante, che è una risorsa. Le loro competenze vanno valorizzate affinché siano spendibili”.

L’inserimento lavorativo “Dagli incontri con il territorio, coordinati con le associazioni di categoria, sono emersi i principali fabbisogni occupazionali”, racconta Pierpaolo Pontecorvo del Cesma, Centro Europeo di Studi Manageriali. I profili più ricercati erano florovivaisti e impiegati nell’ambito della ristorazione e del turismo. “Abbiamo ricevuto 146 richieste da diciassette strutture regionali, cui si sono aggiunte domande di partecipazione di singoli, 90 le persone coinvolte contro le 75 previste”. Alla fine in 22 hanno ricevuto l’attestato in florovivaismo, 25 in ristorazione nella prima edizione e altri 22 nella seconda. Per venti c’è stato accesso ad un periodo di tirocinio in un’azienda.le-voci-nel-silenzio-dei-50000-rifugiati-del-L-4PheWa1

Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, due le fasi in cui si è andati ad operare. “Nella prima sono state contattate le Asl, i centri di accoglienza ed i destinatari finali”, interviene Marco Dominici della Asl Rm G. In seguito si è proceduto con “incontri nei centri, per arrivare al maggior numero di beneficiari ed individuare le reali esigenze”. A Castelnuovo di Porto sono stati quindi attivati due ambulatori specialistici, in ginecologia e pediatria, “le categorie con più evidenti problematiche di accesso ai servizi”. Poi ci sono stati altri interventi, come “l’acquisto di farmaci il cui ticket non è alla portata di tutti, ausili ortopedici ed oculistici”. Sono stati così raggiunti 107 assistiti, a fronte dei 25 ipotizzati dal progetto.

padre Giovanni La Manna,  presidente del centro Astalli
padre Giovanni La Manna, presidente del centro Astalli

Infine, la sezione dedicata agli alloggi. Su 75 richieste pervenute, sono stati selezionati 40 destinatari, di cui 10 nuclei familiari con 22 minori, cui saranno erogati contributi pari a 157 mensilità di affitto. Per alcuni si procederà anche al rimborso delle utenze come luce, acqua e gas.

Le voci dal territorio Che la realtà italiana in fatto di accoglienza sia ancora troppo a macchia di leopardo è cosa nota per gli addetti ai lavori, “bisognerebbe offrire opportunità concrete, degne ed oneste”, aggiunge padre Giovanni La Manna, presidente del centro Astalli, “arrivando così ad un sistema unitario, non frammentato. Progetti come questo indicano la strada”. “Approcci che portano al lavoro sono un vantaggio enorme anche in termini di rapporto costi/benefici”, l’opinione di Diego Avanzato, del C.a.r.a. di Castelnuovo di Porto. “Altrimenti permane un problema sociale che è di lunga durata”. La finalità è, ovviamente, arrivare all’autonomia dei singoli, ma prima serve un sostegno nei diversi ambiti, “sociale, legale, psicologico”, chiude Rosa Perrotta, della società cooperativa Domus Caritatis. “Abbiamo anche una scuola di italiano interna, condizione primaria per l’integrazione. I ragazzi che riescono a concludere questo percorso riacquistano dignità giorno dopo giorno, questa deve diventare la prassi”.

Gabriele Santoro(28 giugno 2013)