È la seconda settimana di lavoro per l’Associazione Piuculture al Centro estivo presso la scuola primaria Mazzini dove, grazie a maestre, socie e volontarie, i bambini hanno la possibilità di praticare l’italiano giocando insieme.
Non siamo in classe, qui non ci sono libri, ma solo giochi e fantasia per un gruppo eterogeneo di circa 15 bambini dai 7 agli 11 anni nati o cresciuti a Roma da coppie, talvolta miste, di italiani, filippini, peruviani, pakistani e portoghesi. Nel gruppo anche 4 bimbi e bimbe di genitori italiani, “la loro partecipazione ci fa molto piacere ed è davvero utile” commenta Silvia, insegnante e volontaria Piuculture.
“Dalle 8.30 alle 9 accogliamo i bambini con una filastrocca, poi inizia lo spazio disegno che è connesso alle seconda parte della giornata, dalle 9 alle 11, quando Emilia Martinelli dell’associazione fuori conTesto si occupa del corso di teatro”. I bambini infatti stanno lavorando a foto e disegni, piccole introduzioni agli strumenti musicali, canzoni e balletti: brevi scene che comporranno una recita che sarà presentata alla fine della prima settimana di settembre, l’ultima del Centro estivo.
I bambini, mascherati ogni volta in modo diverso, vengono immortalati nelle sembianze di vari personaggi, dalla luna alle fatine, dai briganti ai cittadini di “Tarallandia”, questo il nome del Paese di fantasia che si è voluto rappresentare, nome che deriva proprio dai taralli pugliesi e che ha scelto Arnel, bambino di origine filippina. Un teatro sperimentale che racconta con le immagini oltre che con i corpi in movimento.
Si tratterà di un “fotoracconto”, un “fotoromanzo” breve, uno strumento semplice per fare teatro in poco tempo: “il nome è piaciuto subito a tutti”, racconta Emilia, “per ideare la storia abbiamo letto dei racconti di Gianni Rodari e insieme li abbiamo riadattati. Nei primi incontri ero rimasta colpita dal fatto che tutti fossero convinti della non esistenza della magia, allora ho voluto la dimensione fantastica unita a delle regole precise, le Leggi di Tarallandia che i bambini stessi hanno stilato, come Grandi e piccoli decidono insieme, Ci si ascolta bene e non si giudica mai affrettatamente, Tutti sanno stare nel cerchio per iniziare e finire i giochi…”
“Il teatro è un’altra scuola, una grande risorsa per fare gruppo in poco tempo“: la storia racconta di alcuni soldatini che incontrano delle fatine e vengono premiati per la loro gentilezza con una magia. Tutte le armi saranno trasformate in strumenti musicali, come ne Il Tamburino Magico, e nessuno resisterà dal cantare e ballare insieme. Così quando arrivano i briganti a cacciare i soldatini, neanche loro resisteranno alla musica, e questi ultimi grazie alla luna che dà coraggio, come nella poesia di Rodari, alla fine torneranno a Tarallandia per una convivenza pacifica e felice.
“La storia è un pretesto per raccontare dei bambini stessi che spesso fanno finta di fare i briganti anche quando non lo sono: all’inizio non erano molto integrati, c’era qualche diffidenza, ma già alla seconda settimana sono diventati un gruppo. Il teatro ci fa conoscere in altro modo, grazie agli strumenti non verbali e ai giochi di scambio: il bambino che fa la statua e l’altro il suo scultore, quello che fa il burattino con il burattinaio che lo manovra. Sono giochi che stimolano la fiducia”.
Dalle 11 alle 11:30 gioco libero, una sorta di ricreazione nella ricreazione, poi fino alle 13 altri giochi, “che abbiano molto a che fare con il tatto, con il costruire le cose, idea che gli piace molto” dice Silvia: allora via alle tempere, acquarelli e ai lavori con la creta. E poi favole e storie, i giochi di movimento pensati da Francesca, dal Gioco dell’Oca umano a quello delle Marionette, dalle gare di palloncini al gioco delle Mollette.
L’italiano dei ragazzi sembra perfetto: “sì sono bravi, ma alcuni di loro, come spesso succede, ci sono arrivati a metà anno scolastico, per questo abbiamo pensato al Centro estivo”, la difficoltà non è tanto nel parlare, quanto nello scrivere e nella grammatica. Ma parlare è sempre il primo passo: “è utile per la socializzazione spontanea, soprattutto per chi ha qualche problema caratteriale di adattamento”. I bambini hanno quasi tutti nomi italiani, ma solo quelli con almeno un genitore italiano hanno anche la cittadinanza. Arnel afferma: “io sono bravo con la lingua perché ho la maestra Susanna, la migliore della scuola!”, mentre Francesco, pakistano, con il suo italiano perfetto pensa che può ancora migliorare: “secondo me non parlo bene, la maestra sgrida sempre i miei amici perché iniziano le frasi con “che” e non si può”.
Lui è qui con il fratellino più piccolo: nati entrambi a Roma, non sono mai stati in Pakistan, ma al più grande piacerebbe visitarlo un giorno, anche perché Roma non gli piace granché, “Milano è meglio, è più pulita!”. A lui piace venire qui, non è stato difficile fare amicizia, “lui è il mio migliore amico”, fa indicando Giulio, filippino, “perché fa delle danze bellissime!”, ma Giulio si vergogna e non ci fa “la mossa con le ginocchia”.
A parte i classici dispetti – tra i ragazzi che si stuzzicano e le bambine che mi dicono di stare attenta a non scrivere tutte le bugie che i maschi raccontano – a guardarli giocare compongono un gruppo davvero affiatato, nonostante le differenze che preoccupano sempre tutti: dalle classi alle età, dalle culture ai Paesi d’origine. Arnel viene additato per quello che parla il filippino, lui si schernisce e dice che non è vero. Io gli dico che è bello parlare più lingue, ma lui ci tiene a parlare bene solo l’italiano. Ciò che li accomuna è questa idea estiva di Piuculture: “nonostante li abbiamo fatti tornare qui il giorno dopo la fine della scuola”, dice Silvia quasi con senso di colpa, non dispiace proprio a nessuno; “è meglio della scuola!”, esclama Sandra, peruviana, mentre lancia in aria il suo palloncino.
Ricordo la mia classe delle elementari, eravamo tutti così timidi e silenziosi! E poi non ce ne importava nulla degli adulti, l’importante era stare tra bambini. Ma appena ho messo piede nella piccola saletta adiacente la palestra, dove le maestre hanno fatto spostare i bambini perché fa più fresco, mi hanno squadrato tutti per poi chiedermi a raffica: “E tu chi sei? Sei una maestra? Noi non parliamo con gli sconosciuti!” ridendo divertiti.
Rispondo che sono una giornalista “…e adesso vi intervisto!” Dopo un breve silenzio interdetto, scoppia un “sììì” entusiasta, anche se qualcuno è preoccupato: Angela, bimba italiana dagli occhi saggi, ci tiene a sottolineare che “siamo minorenni, non possiamo andare sul giornale”, “ma lei ha detto che andiamo online! Anche su facebook!” precisa Arnel e allora non c’è più nessuna remora e i ragazzi, soprattutto i maschietti, si spintonano per farsi fare le foto.
I bambini di oggi sembrano più consapevoli, aperti e sociali. Chissà se non è anche merito di tutto quel lavoro, piccolo ma costante, che tante realtà come Piuculture negli anni hanno portato avanti, cercando di “naturalizzare” certe politiche da “integrazione quasi forzata” in convivenza reale e spontanea. Io guardavo con rispetto alle bambine africane della mia classe, ma non ci ho mai fatto amicizia. I miei compagni ogni giorno prendevano in giro qualsiasi “diversità”, dagli occhi a mandorla alla pelle scura. Sono cose che questi bambini sembrano non notare neanche più: la società del futuro sarà più comprensiva.
Alice Rinaldi
(26 giugno 2013)
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