“Ci sono temi che non proporrete mai?” “Si tiene conto delle sensibilità particolari e del momento storico. E anche dei rapporti diplomatici del nostro Paese. Per parlarci chiaro: un tema sul genocidio degli armeni, che va a colpire una sensibilità particolare della Turchia, preferiamo evitarlo”. A parlare è Luciano Favini, ispettore capo del gruppo di esperti che prepara le tracce da proporre al ministero per la prima prova dell’esame di Stato in un’intervista del 17 giugno al Messaggero.
Una dichiarazione come questa non poteva passare inosservata e non suscitare sgomento all’interno della comunità armena – circa 200 famiglie solo a Roma e provincia – tanto da spingere Barbara Grassi Najarian, professoressa di italiano e storia in una scuola secondaria di secondo grado, madre e marito armeni, ad inviare una lettera a Favini per rendere conto di un’affermazione rilasciata quantomeno con leggerezza. “È stata una reazione istintiva, ma ho aspettato una notte prima di scriverla, per abbassare i toni a freddo e renderla più breve”.
La risposta è arrivata, “ma solo per ribadire una posizione ritenuta legittima, che non voleva offendere nessuno, ma le cose stanno così”. Non è solo una questione di avere le proprie opinioni, “è come dire ai ragazzi di non studiare un evento storico”, con una logica che, per rimanere nell’ambito scolastico, “è la stessa di chi non vuole dire niente ai bulli, altrimenti potrebbero reagire. Non bisogna disturbare il prepotente, la Turchia ha sempre portato avanti una politica negazionista, una sua reazione c’è sempre quando si parla del genocidio degli armeni. La vigilanza è stretta e molti paesi hanno paura di ritorsioni economiche”.
Un esempio, per quanto possa sembrare un fatto di scarsa rilevanza politica, fu la partecipazione dei System of a down, gruppo alternative metal statunitense ma di origini armene, all’Eurovision Festival, rassegna musicale che coinvolge paesi di tutta Europa. Un giornalista finlandese scrisse che i Soad avrebbero partecipato in rappresentanza della nazione caucasica, “ho chiesto che ritrattasse l’articolo”, racconta in un’intervista visibile su youtube Serj Tankian, cantante e tastierista, “perché semplicemente non lo avevo detto. Ma qui è successa una cosa interessante perché nel giro di due mesi la questione è finita al parlamento turco. In quel momento ho pensato: hmmm”.
La situazione sul riconoscimento potrebbe avere un peso specifico riguardo la candidatura turca all’ingresso in Europa, caldeggiata da molti. Per la Francia il negazionismo è reato, l’Italia nel 2000 ha votato una risoluzione, sull’esempio delle istituzioni comunitarie e del Vaticano, che riconosce il genocidio ed invita la Turchia a fare altrettanto. Ma mancano ancora prese di posizione ufficiali da pesi massimi come Germania e Gran Bretagna e, uscendo dai confini continentali, Stati Uniti.
Il discorso si può estendere alla didattica, “io adotto testi che ne parlino ma nel modo corretto, non che supportino la tesi di un’azione inevitabile per punire degli insorti. Metterlo sotto questa luce rimetterebbe in discussione anche il Risorgimento, una ribellione contro l’Austria”.
Le radici storiche del genocidio L’Armenia storica comprendeva buona parte dell’Anatolia centro-orientale, “da dove la popolazione non si era mai mossa per millenni. Le motivazioni del genocidio sono prima religiose, quindi identitarie, poi economiche”, non avendo combattuto guerre, dalla disgregazione dell’Impero Ottomano, gli armeni “erano infatti riusciti a prosperare. Ma poiché il padre della Turchia moderna, Ataturk, ne era coinvolto, diventa difficile ammettere le colpe, significherebbe disconoscere un eroe nazionale e quasi riscrivere la storia. La presenza artistica e culturale svanita è stata una perdita di un patrimonio appartenente all’umanità intera”.
“La reazione fra i turchi c’è”, ci tiene a puntualizzare la Grassi, “il senso di colpa, anche se ovviamente la responsabilità non può essere di chi all’epoca non c’era nemmeno, spinge a volersi scaricare la coscienza”. Un esempio è il libro di Taner Akçam “Nazionalismo turco e genocidio armeno. Dall’Impero Ottomano alla Repubblica”, costato all’autore una condanna a dieci anni per aver trattato pubblicamente il tema. Il ricordo ed il riconoscimento sono due questioni fondamentali. Basti pensare all’agghiacciante frase pronunciata da Hitler nel 1939 a pochi giorni dall’invasione della Polonia, quasi a convincere i suoi stretti collaboratori ad attuare gli stermini che sarebbero seguiti, “chi si ricorda più del massacro degli armeni?”.
Gabriele Santoro
(5 luglio 2013)
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