È durata appena un anno, dal 24 giugno 2012 al 3 luglio 2013, la carriera presidenziale del leader dei Fratelli Musulmani di Mohamed Morsi, che solo 12 mesi fa vinceva a maggioranza assoluta le prime votazioni democratiche in Egitto. Le riforme per guidare la transizione però non hanno preso la piega sperata dalla popolazione, su tutte l’ampliamento dei poteri giudiziari di Morsi in modo che i decreti presidenziali non fossero attaccabili e l’idea di uno Stato non teocratico ma fondato sui principi base della Shari’a, la legge coranica.
Accentratore, islamista, le attese degli egiziani tradite ancora una volta hanno spinto a nuove ondate di proteste, in piazza Tahrir si sono riversati milioni di manifestanti decisi a disfarsi di Morsi. Ma è stato l’esercito, istituzione con un peso specifico molto importante nella vita politica ed economica dell’Egitto, il vero arbitro della contesa tra le masse di cittadini e un presidente che comunque poteva vantare dalla sua parte una legittima elezione.
Dopo un colpo di Stato relativamente pacifico, in attesa di una nuova tornata elettorale, il presidente ad interim Adly Mansour, ex capo della Corte Costituzionale, ha nominato premier Hazem El Beblawi, economista ed ex ministro delle finanze. A fargli da vice Mohamed El Baradei, premio nobel per la pace ed ex direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), dopo che alla sua candidatura a primo ministro era stato posto il veto per il legame troppo stretto con gli Stati Uniti – e quindi l’occidente.
Ma cosa ne pensano gli egiziani presenti a Roma? Specchio fedele di una forte divisione possono essere Attia e Mohamed, 21 e 23 anni, entrambi impiegati in una pizzeria e provenienti da Gharbia, dove la situazione è più tranquilla rispetto agli scontri del Cairo. “Hanno destituito Morsi perché le televisioni hanno inventato cose non vere sui fratelli musulmani e sul presidente, sostenendo che avrebbe fatto lavorare soltanto le persone a lui vicine”, racconta Mohamed. “La gente è scesa in piazza perché ha visto che non è cambiato nulla, il paese è al collasso, però è anche vero che dopo soltanto un anno non puoi buttare tutto all’aria”.
Discorde Attia, “a me non piacciono i Fratelli Musulmani, le loro convinzioni non esprimono realmente il Corano. Io voglio la democrazia nel mio paese e nella democrazia ognuno fa ciò che sente, nel Corano Allah dice che puoi fare tutto, quindi per me non è accettabile avere problemi con i fedeli cristiani”. “Il generale Sissi – uomo forte dell’esercito, ndr – aveva detto che avrebbe mediato tra sostenitori e oppositori di Morsi”, controbatte Mohamed. “Quando c’era Mubarak i dissidenti venivano arrestati, durante il governo Morsi neanche un oppositore è finito in carcere, ora invece i Fratelli Musulmani sono stati imprigionati e il loro quartier generale è stato dato alle fiamme”.
Entrambi hanno famiglie in Egitto e per informarsi ricorrono a facebook e alla tv locale, via satellite. Ma le loro attese non coincidono: “spero nel ritorno di Morsi inshallah”, l’auspicio di Mohamed, Attia gli punta contro la scopa che sta usando per spazzare il pavimento e lo apostrofa in modo colorito. “Io spero che si risolva tutto, ma al momento non sappiamo come andrà a finire”.
Critiche a Morsi arrivano anche da Mena, fiorista, 26 anni e da 3 in Italia, “non andava bene perché non ha coinvolto le altre forze politiche nella formazione di governo. Ora tutto l’Egitto è in strada e mi dispiace molto essere qui e non poter offrire il mio contributo”. Per informarsi segue le tv egiziane: “ONTV e Al Arabiya, Al Jazeera invece è con Morsi”. Pietro, anche lui fiorista, 31enne, si spinge addirittura oltre: “Con Morsi molti egiziani sono scappati, per la disoccupazione e per paura dei Fratelli Musulmani. Mubarak secondo me era meglio: rubava i soldi ma non si viveva nel terrore. Io sogno di tornare a casa, sto aspettando che le cose si calmino anche se adesso non si trova lavoro”.
Tensione religiosa che negli ultimissimi giorni è salita dopo l’omicidio di un sacerdote cristiano ad El Arish, in Sinai. Binyamin è copto di rito greco ortodosso, sedici anni fa ha comprato la licenza di un chiosco di fiori. Immagina un futuro con più sicurezza per le minoranze confessionali, “è finito lo strapotere dei Fratelli Musulmani, finito”, ripete con convinzione.
“La maggioranza vuole questa libertà, forse voi ci siete abituati e non ve ne rendete conto, tolti di mezzo i fanatici diventerà normale anche per noi. Morsi è una testa vuota. Lo senti parlare per ore senza un pensiero, una nullità”. Diversa la sua opinione sul generale Sissi, “giovane, preparato, lui sa quel che bisogna fare”. Il collega Ahmed è invece musulmano, ma la sua valutazione coincide con quella di Binyamin, nel ritenere che l’estremismo sia manipolato da una minoranza ristretta “non sento inimicizia per i copti, semmai serve cooperazione per far ripartire l’economia”.
Interviste Sandra Fratticci e Paola Piva
Redazione Gabriele Santoro
(9 luglio 2013)