Cucimondo: l’integrazione a tavola

I ragazzi di Cucimondo alla Città dell'Utopia di Roma
I ragazzi di Cucimondo alla Città dell’Utopia di Roma
In tempi di overdose da format culinari e blog enogastronomici, parlare ancora di cucina rischia di sembrare terribilmente scontato. Eppure nel caso di Cucimondo, onlus romana nata nel 2009 da un’idea di Elena Dalla Massara, si può fare un’eccezione.Che la conoscenza di un paese passi anche (e soprattutto) dalla tavola, l’hanno capito in molti. Un esempio illustre è quello di Donpasta, alias Daniele De Michele, dj salentino autore di La parmigiana e la rivoluzione e patron del progetto Soul food. Nelle cene carbonare che Donpasta organizza, si parla, ci si incontra, e soprattutto ci si conosce. Di una di queste serate, che ha vissuto in prima persona, ci parla proprio Saiyora Ismailova, uzbeka, tra le fondatrici di Cucimondo ed attuale presidentessa: “La serata era chiamata cucina meticcia. A cucinare erano donne eritree, sudanesi, etiopi, peruviane, romene, che si sono conosciute durante un’occupazione abitativa sulla Prenestina. Insieme, hanno pensato di mettere su un’attività di catering: mentre alcune di loro cucinano, le altre si occupano dei bambini a turno. Così si fanno da tate a vicenda e allo stesso tempo possono lavorare”.Nel giro di breve tempo, le donne di “cucina meticcia” sono state protagoniste di alcune serate di Cucimondo, molto diverse dalle cene carbonare, ma nate con un obiettivo simile: promuovere la conoscenza reciproca e l’integrazione a tavola. Lo spiega bene Antonino, uno dei soci: “organizziamo incontri tra persone che si sono trovate a Roma come ospiti, ma che presto, vivendoci, hanno imparato a considerarla la loro città. Sono un modo per conoscersi, per superare le barriere utilizzando la cucina, e non solo”. Già, non solo. Perché oltre agli incontri culinari, Cucimondo organizza anche gite, eventi (“come la Messa Etiope. Bellissima e distruttiva: è durata cinque ore…!”) e serate di lettura, durante le quali si parla di un paese a partire da un libro scelto da un suo rappresentante. “Teoricamente si dovrebbe venire già preparati, dopo aver letto il libro, ma non accade spesso”, commenta ridendo Irene, che alla rassegna musicale di Villa Ada “Roma incontra il mondo” promuoveva l’associazione distribuendo ricette agli avventori e trovando nuovi adepti per una già ricca mailing list. Ci spiega che uno dei progetti per la nuova stagione è quello di organizzare dei cineforum, in cui si possa conoscere i paesi a partire – questa volta – da un film.La mailing list e gli eventi culinari non sono ovviamente l’unico canale usato per reclutare cuochi ed avventori: grande ruolo gioca il passaparola. Saiyora ha conosciuto Baryali nel 2009 in un centro per rifugiati afghani: “parlava un perfetto inglese ma nemmeno una parola di italiano”, commenta ridendo, “ma già dopo un anno aveva imparato bene la lingua, e persino il romanesco!”. Nel 2010 Baryali è entrato a far parte di Cucimondo, e oggi è mediatore culturale per i rifugiati, oltre che socio di Cucimondo, dove ha imparato (“finalmente…!”, dicono gli amici) a mettere mano ai fornelli. Quando racconta del suo lavoro, Baryali è serissimo: “le persone che vengono qui in Italia da rifugiati sanno benissimo cosa li aspetta, sanno che non c’è lavoro. Però hanno anche paura: per questo in tanti, quando vengono espulsi, piuttosto che tornare indietro si uccidono”. Il rapporto con gli italiani è conflittuale, per via della diffidenza di molti: “Oggi ho telefonato ad una persona per affittare una casa. Appena ha sentito l’accento straniero, mi ha detto di richiamare nel giro di due giorni. Ti giuro: avrei fatto le valigie e me ne sarei andato oggi stesso”.
Uno dei piatti cucinati nella serata dedicata all'Uzbekistan (foto pubblicate sull sito associazionecucimondo.org)
Uno dei piatti cucinati nella serata dedicata all’Uzbekistan (foto pubblicate sul sito associazionecucimondo.org)
Scopo degli incontri di Cucimondo è proprio quello di abbattere la diffidenza. Ma cosa accade in una cena-tipo? “In genere il cuoco presenta i piatti, e racconta come sono stati preparati. Poi parla di se e del suo paese, rispondendo alle domande dei partecipanti. Molte persone non hanno spesso l’opportunità di raccontarsi, e qui possono farlo”. Il cuoco è il protagonista della serata, e propone le attività in prima persona: può scegliere di proiettare delle immagini, di mostrare degli abiti tipici, o, anche, di insegnare delle danze. Le cene hanno ovviamente un costo, anche se minimo: “in parte ci serve a coprire le spese della cena, ma quello che avanza va all’Associazione Mater Misericordiae di Bukavu, che opera in Congo in un progetto di recupero per i bambini soldato”.Se la cena del venerdì è un modo per assaggiare piatti insoliti, il pranzo del sabato è un’ottima occasione per imparare a cucinarli. “Il bello dei nostri incontri è che i piatti vengono cucinati secondo il gusto personale del cuoco”, spiega Antonino. “Pensa all’amatriciana: la ricetta tradizionale richiede il guanciale, ma in tanti preferiscono usare la pancetta. Per noi è lo stesso: i piatti che assaggiamo non sono quelli della tradizione, ma quelli che i cuochi mangiano quando cucinano per la loro famiglia o i loro amici. Quelli veri, insomma”.Piatti che, rispetto alle pietanze raffinate da ristorante etnico o da salotto culinario, hanno tutto un altro sapore.

Veronica Adriani