L’immigrazione asiatica in Italia, presenze, lavoro, rimesse

Romulo Salvador, consigliere comunale aggiunto
Romulo Salvador, consigliere comunale aggiunto

Nell’arco di un ventennio la presenza di asiatici nel territorio italiano è decuplicata, dai circa centomila dell’inizio degli anni ’90 a quasi milione nel 2012 – 942.443 per l’esattezza. È quanto emerge dal lavoro svolto dal Centro Studi e Ricerche Idos/Immigrazione Dossier Statistico e pubblicato sul primo numero della nuova serie della rivista Affari Sociali Internazionali, promosso dalla MoneyGram e presentato il 25 luglio all’Auditorium di via Rieti, nei pressi di piazza Fiume. L’obiettivo è l’accrescimento della conoscenza del mondo delle migrazioni e delle prospettive economiche che possono derivarne, tanto per l’Italia quanto per i paesi di origine dei flussi.

Le rimesse I dati della Banca Mondiale attestano un ammontare complessivo di rimesse in entrata nel continente asiatico pari a 260 miliardi di dollari nel 2012, ben 3,7 miliardi provengono dall’Italia, con un calo del 4% rispetto al 2011, dopo che la differenza tra 2010 e l’anno successivo vedeva un saldo attivo del 23%. Il principale paese di destinazione è la Cina, con 2,5 miliardi, seguita da Filippine (600 milioni), Bangladesh (290) ed India (206). L’incidenza media sul Pil supera il 10% in diversi Stati, come Filippine, Bangladesh, Afghanistan e Sri Lanka, arrivando addirittura al 47% del Tagikistan, il valore più alto a livello globale.

“La crisi ha avuto i suoi riflessi sulle comunità”, spiega Romulo Salvador, consigliere aggiunto del Comune di Roma. Soprattutto per i filippini, maggiormente impiegati nel settore domestico, “che è vitale, ma è anche la prima spesa che si taglia quando una famiglia deve rivedere il bilancio. Nonostante tutto va ancora i filippini impegnati nel settore sono quasi il 39% seguiti dai cingalesi al 31.  La conseguenza logica della riduzione dell’offerta di lavoro nel settore domestico è stata la diminuzione dei movimenti di denaro tramite rimesse”.

Al riparo dalla crisi sono soprattutto i lavoratori nel settore agroalimentare, in prevalenza indiani; più penalizzati invece i pakistani, concentrati nel ramo industriale (40% del totale), in particolare metalmeccanico ed edile, condizione che riguarda in misura minore anche i bengalesi.

Lifang Dong
Lifang Dong

“Trent’anni fa era l’occidente ad investire in Asia”, la situazione si sta ribaltando, racconta Lifang Dong, avvocato di origine cinese ma in Italia dall’età di sei anni. A distinguersi nell’iniziativa imprenditoriale autonoma sono proprio i cinesi, che con circa 36.500 titolari di azienda nel 2011 erano dietro solamente Romania e Marocco. I fattori di forza stanno nell’inserimento in nicchie specifiche dove non agisce la concorrenza italiana e la strategia mette spesso al riparo dall’onda d’urto della crisi, con una prova di grande flessibilità e dinamismo nel tessuto economico nazionale.

Gli investimenti nella cultura “E’ un settore dove non si investe mai, anzi si taglia”, lamenta Jamil Ahamede, interprete indiano e finalista del MoneyGram Award 2013. Ecco perché il rilancio della rivista Affari Sociali Internazionali, nata nel 1973, può essere un segnale positivo in questo senso, oltre, come già detto, per favorire la conoscenza e di riflesso l’integrazione, che ovviamente dovrebbe partire da scuole e luoghi di lavoro: “lo Stato e le istituzioni mostrano indifferenza, in un paese civile le leggi si migliorano, è alla base della società dal diritto romano in poi”, il riferimento – anche – al dibattito sul tema della cittadinanza.

Il problema sull’argomento è ben visibile se comparato ad altri paesi, come illustra nel suo intervento Ejaz Ahmad, mediatore culturale pakistano: “quando torno in Pakistan il volo più economico fa scalo in Arabia Saudita, dove incrociamo l’aereo proveniente dall’Olanda. Lì le seconde generazioni hanno il passaporto, le nostre stanno con il permesso di soggiorno”.

Ejaz Ahmad
Ejaz Ahmad

Nel 2011 le acquisizioni di cittadinanza sono state 177 mila fra gli asiatici nell’Unione Europea, con il più alto numero di concessioni in Gran Bretagna, 97 mila. L’Italia non ha avuto un peso di primo piano, frenata dalle procedure basate esclusivamente sullo ius sanguinis: appena 6.259 le naturalizzazioni di ventiquattro mesi fa. Dopo l’India, con 31.700 acquisizioni totali, troviamo Pakistan, 22.400, Iraq (18.500), Cina e Filippine attestate intorno alle 12 mila.

Statistiche Per quanto riguarda i nuovi ingressi , gli arrivi sono stati specialmente per motivi di istruzione (40%) e ricongiungimento familiare (26%). Il lavoro non è più la ragione principale, complice la crisi, ed è sceso ad appena il 20%. Nel totale, la maggior parte dei soggiornanti sono cinesi, 277 mila, terza comunità in assoluto dopo marocchini e albanesi. Poi filippini, 152 mila e indiani, 145 mila. Il 46,3% ha un permesso di lunga durata, nel 31,2% dei casi si tratta di minori. Gli studenti sono arrivati a quota 119.346, per la quasi totalità appartenenti a sei nazionalità, cinese, indiana, filippina, pakistana, bengalese e cingalese, distribuiti per il 37% nella scuola primaria, 24% nella secondaria di I grado e 19% nella secondaria di II grado. Solo 12 mila gli iscritti alle università pubbliche.

Gabriele Santoro
(26 luglio 2013)