Da molti anni si discute su quali siano i criteri per cui possa o non possa essere riconosciuto il diritto di asilo a persone provenienti da paesi stranieri. Ogni nazione segue norme europee e nazionali che rischiano, troppo spesso, di lasciare in secondo piano l’interesse primario di uno stato civile, aiutare chi ha bisogno. Il 19 luglio 2013, un gruppo di Pakistani residenti a Roma, ha inviato una lettera alla presidente Boldrini chiedendo che il loro paese venga riconosciuto come nazione in stato di guerra, aiutando in questo modo le centinaia di persone che ogni anno cercano rifugio nel nostro paese. A sostenerli in prima linea è stata la onlus Laboratorio 53 un’ associazione che da cinque anni offre assistenza legale, psicologica e sociale a richiedenti asilo e rifugiati. Per approfondire le motivazioni di questa richiesta abbiamo parlato Ivan Mei, uno dei volontari di Laboratorio 53. Quando è nata l’idea della lettera?La lettera è stata pensata e scritta a luglio, si è trattato di una collaborazione tra l’associazione Laboratorio 53 e alcuni dei richiedenti asilo pakistani presenti a Roma. Nasce dalla volontà di conoscere quali siano i meccanismi per i quali un paese viene reputato sicuro mentre un altro no. L’asilo, si sa, mette in moto dinamiche politiche ed economiche tra Stati e non sempre l’interesse dei richiedenti asilo rimane prioritario.Perchè le domande vengono respinte?La motivazione principale è che si ritiene il Pakistan un paese non in guerra, in cui il sistema giudiziario garantisce una effettiva protezione ai suoi cittadini. Niente di più falso, come riportano numerosi dossier internazionali: terrorismo, guerre interreligiose, tortura e corruzione sono diffusi in tutto il Paese.Chi sono i firmatari?La lettera è firmata “gruppo richiedenti asilo Pakistan”, nome appositamente vago per tutelare la riservatezza di chi ne fa parte. Sono uomini provenienti da tutte le zone del Pakistan – dalla capitale Islamabad al Punjab, dalle zone tribali al confine con l’Afghanistan, a Quetta – ed ognuno ha la propria storia. Tra di loro vi sono persone altamente istruite così come analfabeti, gente impegnata politicamente nella difesa dei diritti umani e dell’emancipazione delle donne, islamici convertiti dal sunnismo allo sciismo e per questo perseguitati, appartenenti a minoranze discriminate come gli Ahmadi. In comune hanno spesso un viaggio lunghissimo prima di arrivare in Italia: Pakistan – Iran – Turchia – Grecia. Rischiano la vita mettendosi nelle mani di trafficanti, attraversando le montagne kurde sotto la neve o imbarcandosi su mezzi di fortuna, sempre più spesso dalla Turchia per evitare di lasciare le proprie impronte digitali in Grecia ed essere rimpatriati.Quali possono essere i passi successivi dopo essersi rivolti alle istituzioni?
Adriano Di Blasi
(24 agosto 2013)
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