Viaggio in Sicilia, dentro il CARA più grande d’Europa

Il Cara di Mineo, ex cittadella militare americana
Il Cara di Mineo, ex cittadella militare americana
“La frontiera è un’ invenzione dell’uomo, chiunque abbia l’esigenza di spostarsi per vivere, riprodursi e lavorare, deve poterlo fare. Dobbiamo però fare i conti con criticità in cui l’allerta è alta. I problemi che ci sono in Medio Oriente sono estremamente complessi” a parlare è Sebastiano Maccarrone direttore del Villaggio della Solidarietà, CARA il Centro di accoglienza per richiedenti asilo più grande d’Europa, che si trova a 9 km da Mineo un paese di cinquemila anime situato nell’entroterra siciliano, a due ore da Catania.I profughi che cercano rifugio in Europa partono “non più dalla Libia ma da Egitto, Tunisia, Algeria” e vengono intercettati in prossimità delle coste orientali della Sicilia e della Calabria. “Non è facile individuare il tragitto. E’ possibile che vengano trasportati da navi più grandi e siano lasciati su gommoni e barchette in prossimità della costa. Ci sono circa 300/350 miglia di distanza, con quei barconi sono almeno tre giorni di viaggio e sotto il sole d’agosto è un massacro“ spiega un militare della Marina che lavora nelle operazioni di salvataggio.65 imbarcazioni, 6500 profughi, sono stati accolti nei porti di Siracusa e Catania durante questi mesi estivi. Siriani ed egiziani, le due nazionalità sempre più ricorrenti, “non vogliono rimanere in Italia. Cercano di raggiungere amici, parenti nei paesi del nord Europa,” ma secondo la Convenzione di Dublino il paese in cui si è identificati per la prima volta sarà necessariamente quello in cui il migrante dovrà fare richiesta d’asilo, così “scappano la notte stessa del loro ingresso al CARA”. Anche il ministro degli Interni Alfano, pochi giorni fa, si è finalmente pronunciato su quest’aspetto del regolamento europeo. “Gli egiziani arrivati ultimamente sono invece minorenni, e vengono ospitati dai centri di accoglienza per minori non accompagnati” spiega Santi Coco, responsabile degli acquisti del CARA di Mineo.
Migranti che passano il tempo passeggiando per il centro
Migranti che passano il tempo passeggiando per il centro
Il Cara di Mineo E’ un pomeriggio d’agosto e Valle dei margi, parte finale della pianura di Catania “a chiana ri Catania”, è resa cocente dai secchi raggi del sole. Distese di giallo maculate di verde: fitti agrumeti. In questa brulla immobilità l’ex cittadella militare – di duecentoquattro villette bifamiliari – appare come piccola oasi circondata da rete e filo spinato. Il clima è rilassato, le unità della polizia sono un pò annoiate e negli appartamenti della Croce Rossa Italiana si svolge vita normale. Molti africani e qualche pakistano bighellonano per la strada, mentre coppie di donne somale passeggiano accompagnate dai colori vivaci dei loro veli. Nelle aule prefabbricate si svolgono i corsi di italiano, qualche bambino gioca con le operatrici dell’area ludica e nel campo di calcio non si arrestano le partite tra adulti. S’intuiscono le cifre confermate dal direttore: dei 3500 ospiti poco meno di un terzo sono Somali, seguiti da Eritrei, Gambiani, Maliani, Nigeriani e Pakistani. Cinquecento le donne e settanta i bambini che frequentano le scuole di Mineo.
qualche bambino gioca nello spazio ludico del centro
qualche bambino gioca nello spazio ludico del centro
“Sono presenti quaranta nazionalità diverse cosa di cui teniamo conto quando assegniamo gli appartamenti.” sottolinea Sebastiano Maccarrone. Ogni casa può ospitare nove persone: 140 mq, su due piani, con tre servizi. L’uso cucina non è consentito ma durante una permanenza, che in media è di un anno, la voglia di autonomia è ovvia e questa regola ampiamente elusa. “Il centro riceve circa 35 euro al giorno per ogni migrante” continua Santi Coco, “sono comprese le spese per luce, acqua e servizi. La mensa ha una cucina che prepara giornalmente i pasti, la carne è halal certificata. C’è una sala internet con dieci postazioni e quattro telefoni. Gli ospiti hanno una diaria di due euro e mezzo al giorno.” Questa cifra ridicola può essere spesa solo allo spaccio interno e in alcuni enti convenzionati nel paese più vicino.
Gli ospiti del Cara giocano a calcio
Gli ospiti del Cara giocano a calcio
Il centro è dotato anche di uno sportello lavoro: invia i curriculum degli ospiti a Italialavoro di Catania, ma non arrivano segnali di risposta. “Perché? Un ufficio di collocamento italiano ha mai chiamato qualcuno?” rispondono ironiche e rassegnate le tre persone che si occupano delle attività esterne. Viceversa qualche iniziativa interna riesce a superare i cancelli: le squadre di calcio partecipano ai tornei e il CaraFreeSpirit gruppo di danza etnico è molto richiesto nelle feste dei comuni limitrofi.“Spesso dopo aver ottenuto la protezione – in genere quella sussidiaria che dura tre anni, o quella umanitaria di un anno, assai più di rado l’internazionale – preferiscono rimanere qui. Non hanno grandi alternative, sono abbandonati a loro stessi. Da poco ha aperto un centro Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) ma le cose difficilmente cambieranno. Allo Sprar l’ospitalità dura sei mesi, dopo di che gli stranieri sono di nuovo al punto di partenza. L’inserimento lavorativo è un tasto assai dolente. Il datore di lavoro non capisce che la formazione è parte del processo di assunzione” racconta una dei quattro vicedirettori del CARA, Denise Zaksong, che coordina otto avvocati, cinque assistenti sociali, sei psicologi e diciotto mediatori culturali; sono circa duecento gli operatori del centro con un rapporto di uno ogni diciassette con gli ospiti.
da sinistra Santi Coco responsabile acquisti e Denise Zaksong, vice direttrice
da sinistra Santi Coco responsabile acquisti e Denise Zaksong, vice direttrice
Denise Zaksong ha trentacinque anni, si è trasferita in Italia sette anni fa per seguire il marito siciliano. Nel suo paese d’origine, il Burkina Faso, ha conseguito la laurea in giurisprudenza che non le è stata riconosciuta in Italia. “Sono tornata all’Università, mi sono state convalidate sei materie. E’ stato in quel periodo, mentre m’informavo sulle equipollenze che ho iniziato il mio percorso nel settore dell’immigrazione, iscrivendomi ad un corso di agente di sviluppo. Non avrei mai immaginato che venendo in Italia mi sarei ritrovata in Africa.” sorride indicando il villaggio.“Sono da anni nel settore, ho lavorato anche a Lampedusa, ci sono problemi strutturali. Se mi trovassi in sedi decisionali organizzerei tavoli tecnico politici. Il tecnico da solo non ha potere. Il politico deve consultare i tecnici, perché conoscono la vita operativa dell’accoglienza e stanno quotidianamente a contatto con gli ospiti. L’immigrazione non va trattata come un problema ma come un fenomeno nuovo che si è inserito nel nostro tessuto sociale” continua Denise. “Queste persone andrebbero aiutate a casa loro, i paesi europei hanno delle responsabilità circa la miseria e il caos delle ex colonie africane” dichiara Sebastiano Maccarrone. La Convenzione di Dublino e il riconoscimento dei titoli di studio sono importanti aspetti del sistema d’integrazione italiano su cui occorre riflettere, ne parleremo ancora(1. il viaggio in Sicilia continua)

M. Daniela Basile(7 settembre 2013)