Il 30 settembre terminerà il progetto Bis – Bilancio di integrazione Sociale per immigrati – finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma di Apprendimento Permanente a partire dal primo ottobre 2011. Cinque i paesi coinvolti nell’azione di partenariato, oltre all’Italia, rappresentata dalla Cooperativa Sociale San Saturnino, Spagna, Germania, Grecia e Repubblica Ceca, con gli obiettivi di favorire l’inclusione sociale e di promuovere i processi di integrazione e coesione coinvolgendo le comunità territoriali. Il convegno della mattinata del 25 settembre presso l’Auditorium di via Rieti è stata l’occasione per valutare il lavoro svolto nei 24 mesi in questione.
“In quasi tutti i paesi ci sono problemi di preparazione all’accoglienza”, spiega Gabriella Fabrizi, coordinatrice del progetto, “mancano delle politiche sociali”, non solo per le differenze culturali, ma anche per “la marginalità dei gruppi di immigrati e gli alti tassi di clandestinità”. Ogni tipo di analisi si può sviluppare dalla necessità di strumenti innovativi anche per gli operatori nel settore, cui “servono spazi e tempi di riflessione” adeguati per arrivare a “valorizzare il bagaglio delle conoscenze e promuovere la cultura della formazione”.
Al San Saturnino è stato così sperimentato un laboratorio di autoapprendimento, “per un orientamento destinato al recupero motivazionale” – prosegue la Fabrizi – in collaborazione con il centro informativo Penelope 2 e il Servizio residenziale madre-bimbo La Casa Verde. Operatori stranieri ed italiani ma con esperienza migratoria, interna o estera, hanno messo a disposizione il loro know how in tavoli di ascolto, con esercizi mirati alla mediazione dei conflitti e alla negoziazione. “Nell’autoapprendimento si riflette sull’importanza di non subire interferenze dal confronto della propria cultura di riferimento con quella dell’altro con cui ci si relaziona”, aggiunge Isabella Cardigliano, della Cooperativa Sociale San Saturnino. Se fra le identità non c’è una comunicazione appropriata il rischio è lo “shock culturale”.
Per quanto riguarda l’utenza costituita da immigrati, alle urgenze concernenti ad esempio la ricerca di lavoro, si è intervenuto con corsi di formazione professionale, supporto all’elaborazione di curricula, sostegno alla valorizzazione delle competenze genitoriali e promozione di attività di socializzazione. Ventuno i partecipanti da ogni parte del mondo, nella grande maggioranza donne (17), per un’età media di 37 anni. Bassa la percentuale di chi già aveva un impiego, solo tre casi, mentre era buono il tasso di scolarizzazione, con sette diplomati ed un laureato.
A parte qualche differenza inevitabile quando si ragiona su cinque diverse nazioni, il progetto ha presentato grosso modo stesse criticità e successi, un caso a parte può considerarsi quello ceco. Le comunità maggiormente presenti sono di paesi limitrofi, Ucraina su tutti, poi la Slovacchia – fino al 1992 non sarebbero stati nemmeno considerati stranieri – Russia e Polonia, molti dei quali riscontrano affinità linguistiche. La terza provenienza per numero è poi quella vietnamita, con circa 58 mila unità, “ma sembra non voler accettare aiuti”, riporta Tereza Kolarova, dell’associazione Tempo di Ostrava, “sono indipendenti, risolvono tutto tra di loro”. In più parte dell’immigrazione viene da paesi come Germania o Stati Uniti, giunta principalmente per stabilire le proprie imprese. Ecco che diventa più difficile attirare l’attenzione per la cooperazione. Alla fine sono stati diciassette i soggetti coinvolti, ma restii “nel condividere il processo migratorio”, ogni intervento è stato individuale, finalizzato all’apprendimento della lingua e della ricerca lavoro, “dove rivolgersi, meglio se da soli senza intermediari, come preparare il c.v. e con quale terminologia”.
La transculturazione Secondo alcune previsioni negli Stati Uniti nel giro di non troppi anni saranno i “wasp”, cioè i bianchi, anglosassoni e protestanti, (white anglo-saxon, protestants) ad essere una minoranza etnica. “Per l’Italia questo traguardo è previsto a fine secolo”, interviene Armando Gnisci, docente di Letteratura comparata presso l’Università Sapienza di Roma, “ma non stiamo pensando a creare una società di questo tipo, pochi lavorano per il futuro”. Il concetto di transculturazione, di cui Gnisci è studioso, indica proprio un incontro tra civiltà dal cui connubio si crea un qualcosa di nuovo ed imprevedibile. “Gli europei devono decolonizzarsi mentalmente, rovesciare la prospettiva dell’identità, aprirsi al meticciato e stare insieme per stare meglio, passando dall’u-topia, l’assenza di luogo, all’eu-topia, il luogo dove si sta bene”.
Gabriele Santoro (26 settembre 2013)