Il rapporto tra musulmani e cristiani nel corso dei secoli è stato caratterizzato da violenti scontri, sia fisici che diplomatici. Dalle crociate in terra santa contro gli infedeli di Barbarossa e Riccardo cuor di leone, fino agli attentati in nome di Dio proclamati dagli jiadisti islamici. Per denunciare questo atteggiamento violento, tra diversi credi e rilanciare l’idea di un dialogo costruttivo, si sono espressi alcuni autorevoli esponenti delle varie religioni durante il panel 14 della tre giorni di conferenze organizzate dalla comunità di Sant’Egidio dal titolo “Il coraggio della speranza”. A presiedere l’incontro è stato Jan De Volder, che ha voluto aprire la giornata con qualche parola: ” Costruire la civiltà del convivere non è una cosa da poco. E’ una grande sfida per l’umanità del 21mo secolo. Perciò non è nella nostra intenzione né drammatizzare, né idealizzare il convivere: conosciamo le reazioni di rifiuto dell’altro, di rifiuto della cultura del vivere insieme, che si estremizza oggi con il fanatismo religioso. Basti pensare alle ultime vicende in Pakistan o in Egitto. Eppure, sappiamo, crediamo e speriamo che queste violenze non siano l’ultima parola nell’itinerario delle due religioni. Sappiamo che milioni di musulmani e cristiani nel mondo continuano anche oggi a parlarsi, a incontrarsi, a stimarsi e, sì, ad amarsi. Crediamo che questo sia il futuro delle nostre religioni: abituarsi a convivere in armonia.Nella splendida cornice della Sala della Pace, hanno poi preso la parola gli ospiti dell’incontro: John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria, Sayyed Salih al-Hakeem, docente iraqueno di diritto islamico Mahmoud Azab dell’università di Al Azhar, Guy Harpigny, vescovo belga e molti altri. Numerose le testimonianze riportate dai vari relatori, incentrate tutte sulla dimostrazione che la convivenza tra i credenti delle diverse religioni, non solo sia possibile, ma che possa comportare anche un miglioramento per l’umanità. Onaiyekan ad esempio ha raccontato la situazione in Nigeria dove su una popolazione di 170 milioni di abitanti il 50% è musulmano e l’altra metà cristiana:” Ovviamente abbiamo degli scontri di carattere civile ma anche dialogo, sopratutto quando si tratta di risolvere problemi comuni. Negli uffici, ogni giorno, persone di differente etnia o credo condividono uno spazio e collaborano per un fine comune. I media non ci aiutano da questo punto di vista dato che troppo spesso fanno passare come notizie importanti solo gli attentati terroristici o le stragi. Sono chiaramente una componente della nostra storia, nessuno può negarlo, ma attraverso la buona politica e il dialogo possiamo risolvere ogni problema. Vogliamo essere un modello di unità e non una polveriera pronta ad esplodere perchè la religione deve essere finalizzata alla pace, se così non fosse dovrei cambiare lavoro”.
Adriano Di Blasi
( 3 ottobre 2013)