Siria, il ritorno dell’indifferenza

croce-rossa-italiana-siria_784x0Sono passate poche settimane dall’annuncio da parte del presidente siriano Bashar Al-Assad, “ispirato” dall’alleato russo, di distruzione delle armi chimiche, con un sospiro di sollievo da parte dei catastrofisti che prefiguravano scenari apocalittici da conflitto mondiale, quasi un’appendice della guerra fredda con Usa e Russia su schieramenti contrapposti. Si è parlato di una “guerra evitata”, dimenticando che la guerra già c’è, e da due anni e sette mesi. E così la situazione della Siria e della sua gente viene nuovamente derubricata dall’agenda mediatica, una sparizione degna del miglior Houdini. Da questi presupposti è partita l’iniziativa del Comitato di Solidarietà con il popolo siriano, che nel pomeriggio di venerdì 11 ottobre ha organizzato un incontro con giornalisti ed esperti di quanto accaduto, perché siriani loro stessi o con attività sul campo. Nel frattempo l’aggiornamento ufficiale parla di 87 mila morti riconosciuti, ma le cifre reali presumibilmente potrebbero raddoppiare.

Le distorsioni di partenza “La propaganda governativa ha lasciato credere che le rivolte sono nate in contrasto alla minoranza alawita che detiene il potere”, spiega Fouad Roueiha, giornalista siriano da qualche anno in Italia. “Guerre etniche non ci sono mai state, la pace sociale era preesistente ad Assad, che si presenta come un suo garante”. E la ribellione non è nemmeno pilotata dalle “petromonarchie, Arabia Saudita e Qatar, semplicemente molti ragazzi hanno visto una speranza dopo quanto avvenuto in Egitto, Tunisia, Libia, sono scesi in piazza per chiedere riforme contro le liberalizzazioni selvagge che in realtà lasciavano agli esponenti del potere i 2/3 delle società economiche e finanziarie”.

La reazione però è stata quella di “sparare ad altezza d’uomo durante manifestazioni pacifiche, con la retorica di farlo contro terroristi infiltrati da complotti internazionali”. L’esplosione della violenza, a quel punto inevitabile, c’è stata con le diserzioni di soldati, “stanchi di fare fuoco sui propri fratelli. Inizialmente si trattava solo di difesa, a  scegliere l’escalation sono stati Assad e il vero manovratore, l’Iran”.

Fouad Roueiha, giornalista
Fouad Roueiha, giornalista

Lo sviluppo di nuove forme di protesta In un paese da sempre agli ultimi posti nelle graduatorie di libertà d’espressione, si è avuta una proliferazione di riviste, radio, tv libere e anche di web series, “in particolare una sullo stile di Ale e Franz – il duo comico che proponeva uno sketch a base di freddure con i protagonisti seduti su una panchina a conversare – che esprimono la situazione al popolo”. La creatività ha trovato sfoghi differenti, con programmi su partecipazione, democrazia, cittadinanza e diritti fino al format per bambini per cercare di fargli comprendere quanto nessuno di quell’età dovrebbe conoscere sulla propria pelle, “Troppo piccoli per preoccuparsi” il titolo che parla da sé. Senza dimenticare che l’uso della radio “permette di raggiungere anche gli analfabeti, con informazioni e servizi”.

Il “citizen journalism” Con il controllo dell’informazione nelle mani del regime, non è stato facile far circolare all’estero quanto stesse avvenendo dal marzo 2011. Ad ovviare all’assenza di canali ufficiali ci hanno pensato gli stessi protagonisti del dissenso, “ragazzi a volte nemmeno diciottenni che filmavano con i telefonini per le strade e postavano i video sui social network”, continua Asmae Dashan, giornalista italiana di seconda generazione, “all’inizio per comunicazioni interne. Poiché mancavano riferimenti certi, il governo sosteneva la non autenticità delle immagini, magari prese dall’Iraq. Si è provveduto con la voce, note scritte e la rivolta è stata raccontata via internet”.

Il viaggio di Asmae Fino ad agosto la Dashan non era mai stata in Siria. Nonostante una famiglia e dei figli ha affrontato i rischi di una scelta che riteneva giusta. Da giornalista free lance ha iniziato visitando i campi profughi in Turchia, poi l’attraversamento clandestino del confine, come molti altri colleghi. Ad Aleppo, una volta centro economico, la visione di macerie ovunque e la puzza di diesel, “per il continuo contrabbando”. È stata ospitata in una casa senza elettricità e a lume di candela ha parlato tutta la notte con la proprietaria di quella che non viene chiamata “guerra”, cui la popolazione si riferisce come “rivolta” dal suo punto di vista e “carneficina” se perpetrata dai vertici esecutivi. “Se non senti odore di morte non avrai mai l’idea della dimensione della tragedia”, l’esperienza è servita anche per parlare con molte donne, “generalmente sono riservate, non si aprono specie con giornalisti uomini”. Essendo “una di loro” invece è accaduto.

Germano Monti, Comitato Soldiarietà al popolo siriano
Germano Monti, Comitato Soldiarietà al popolo siriano

Le commistioni estremiste nel negazionismo Un aspetto dai tratti inquietanti è stato il sodalizio di gruppi estremisti di destra e sinistra nel sostegno al governo di Assad, “fino alla collusione di piazza di un anno fa  davanti all’ambasciata del paese mediorientale, con saluti romani mescolati a pugni chiusi”, riporta Germano Monti del Comitato di Solidarietà. “Addirittura il sito di un comitato contro la guerra, sedicenti comunisti, ha ripreso integralmente il testo di un articolo apparso su un portale neofascista”. Da esperto di Palestina, Monti ha anche fornito alcune cifre su come il massacro si sia riversato anche sui palestinesi. “C’era il più grande campo rifugiati, con oltre 150 mila persone. Gli assassinati accertati, per aver prestato soccorso ed ospitato feriti siriani, sono più di 1500” e sono stime al ribasso. Nello stesso periodo sotto il fuoco israeliano ne sono caduti meno di un quinto, “ma se anziché il ‘nemico sionista’ il responsabile è ‘l’amico arabo’ non se ne parla”.

Gabriele Santoro
(12 ottobre 2013)

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