I rom da oggetto di studio a protagonisti: è Romaidentity

romQuanti di noi al solo sentir nominare la parola “zingaro” non verificano che il portafoglio sia al suo posto in tasca o controllano che il pargolo continui a stare nella sua stanza. Il borseggio e il rapimento dei bambini sono alcuni dei più diffusi stereotipi, molto spesso  infondati, contro un popolo di cui non si sa quasi nulla, nonostante le radici nel vecchio continente risalgano almeno al XIII secolo.

In Europa i rom sono stimati in circa 12 milioni, 150 mila di questi vivono in Italia, solo un terzo nei campi e appena il 3% pratica ancora il nomadismo: offrire una reale fotografia scevra da pregiudizi è l’obiettivo della campagna internazionale “Romaidentity – il mio nome è rom”, co-finanziata dalla Commissione Europea e promossa, fra gli altri, dall’Ong Ricerca e Cooperazione. La presentazione del progetto è avvenuta presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana l’11 novembre, e la giornata di lavori è stata chiusa dallo spettacolo di Moni Ovadia “Senza confini. Ebrei e zingari”, al teatro Vittoria a Testaccio. Per la prima volta un programma ha tentato un’operazione in cui l’oggetto di studio diventa protagonista, portatore di una consapevolezza che dovrebbe normalmente competere ad un attore sociale.

L’attivismo rom “Attivismo significa partecipare a tutto ciò che ci riguarda, contro i progetti che non ci coinvolgono o lo fanno in maniera nominale”, precisa Marinela Costantin, nata in Romania 22 anni fa ma in Italia da ormai un decennio. Non si ritiene portavoce di nessuno, “ognuno ha le proprie opinioni da portare avanti”, al massimo un riferimento per “aiutare la comunità ad uscire dal pregiudizio, creare la possibilità di esprimersi”. Con la sua fondazione promuove corsi di formazione basati sulla cultura di appartenenza, “vediamo spesso persone che credono di conoscerci, lavorano per i rom e pensano di sostenere la nostra collettività, ma non è così”.rom (1)

Parte della responsabilità delle distorsioni subite sono da attribuire ai media, che hanno spesso contribuito a perpetuare una visione standardizzata, l’opposto dell’approfondimento per capire. “Bisognerebbe informarsi e pensare prima di scrivere”, continua la Costantin, che auspica un cambio radicale nella questione: “vorrei che quando mio figlio sarà grande non sia obbligato a dire che è rom e dare spiegazioni per evitare discriminazioni”. La Costantin ammette poi alcune colpe nella scarsa partecipazione di molti rappresentanti della comunità, “ma di frequente ci viene messo il bastone fra le ruote”.

La nuova romanitè Trentenne, operatore sociale da dieci anni a Reggio Calabria, Marco Bevilacqua a dispetto di nome ed accento calabrese è un altro membro della comunità rom. Con l’associazione Fuochi Attivi sta lavorando alla promozione di una nuova romanitè, “punto di partenza per far capire che si può arrivare ad un futuro diverso”, che poi sarebbe semplicemente un futuro “normale”, che esuli “dall’assistenzialismo e dall’autoemarginazione”.

La difficoltà di uscire dai campi Le aree di intervento sarebbero quelle più classiche: scolarizzazione, politiche abitative e lavorative. Il primo passo deve essere l’uscita dai campi, “una rovina per il mondo”. E’ chiaro che senza l’inserimento nelle scuole non ci potrà essere quello nel mondo del lavoro, che porti ad una “stabilità economica contro la ricattabilità. La politica dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza per attuare interventi integrativi attivi” e, non ultimo, decidersi al “riconoscimento di una minoranza linguistica”.

Rom (2)Gli stadi del pregiudizio Nello stereotipo possiamo distinguere tre fasi, partendo dal più innocuo etnocentrismo, come riporta Antonio Colajanni, professore all’Università Sapienza di Roma e socio di Ricerca e Cooperazione: in questo stadio il soggetto proietta la propria esperienza quotidiana, dando quindi significati appartenenti alla sua stessa cultura. Ad esempio il tipico gesto italiano di unire le prime falangi di tutte le dita come a formare una “pigna” per chiedere spiegazioni, in Giappone è un’offesa e nei paesi arabi indica “stai fermo”. Ma vedendolo fare penseremmo con il nostro metro di giudizio. Allo stadio intermedio sta il pregiudizio vero e proprio, “una valutazione tassativa pseudo-argomentata che rifiuta l’esperienza diretta”. Terzo ed ultimo livello, il razzismo, “linguaggio che parte da supposte inferiorità biologiche” e che si manifesta accompagnato da “azioni discriminatorie”.

Lo stereotipo scientifico Anche nell’ambito scientifico-antropologico si può avere lo stereotipo, se si interpreta per categorie senza spiegazioni di fondo. “I rom sono stati considerati pre-moderni”, interviene Sabrina Tosi Cambini, dell’Università di Verona e della Fondazione Michelucci, “perché con diversi concetti di confini statali, trasmissione dei saperi, relazioni parentali, endogamia”. Ma la capacità negoziale che porta alla ricerca di soluzioni oltre gli aspetti che l’Italia si è data dimostrerebbe esattamente il contrario. “Dobbiamo fermarci a riflettere, sarebbe già un passo avanti nel superamento di certi atteggiamenti”.

Gabriele Santoro(12 novembre 2013)

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