Cécile è bellissima, entra rapida e solare nell’ufficio di Isabella Moulet, deve ritirare delle carte e scappa via veloce. E’ una modella? Indossa un vestito multicolore secondo la tradizione africana, che ci fa qui? “E’ una rifugiata” spiega Isabella, responsabile di Welcome, rete nata nel 2009 per sostenere i richiedenti asilo prima che possano usufruire del Dispositivo Nazionale di Accoglienza, ”Cécile è una giornalista della Guinea, fa parte del 10% di donne iraniane, irachene, cingalesi, congolesi o libanesi
maronite che vengono ospitate per brevi periodi, massimo cinque settimane, in famiglie francesi. L’altro 90% sono uomini tra loro anche afghani, copti egiziani, maliani, della Mauritania e della Costa d’Avorio”. Fuggono da guerre, violenze, dittature, vengono in Europa con la speranza di vivere una vita normale.
Welcome. In Francia sono disponibili 22mila posti per chi fa domanda di asilo contro oltre 60mila richiedenti, Welcome interviene su quei 40mila che restano per strada “Le soluzioni governative non sempre rispondono alle esigenze dei rifugiati, ci sono dei buchi, noi aiutiamo soprattutto i giovani adulti che rimangono isolati, per le famiglie ci sono maggiori opportunità e ai minorenni pensa la Croce Rossa. Sono ragazzi e ragazze dai 20 ai 30 anni, vivono intorno alle stazioni, non sono delinquenti, chi cerca di coinvolgerli in traffici illeciti non riesce a fargli vendere droga, ma sono estremamente vulnerabili, il rischio è la prostituzione e la pedofilia”. Sono giovani che hanno bisogno di ospitalità temporanea, richiedenti asilo in situazione regolare, il loro è un bisogno urgente al quale le associazioni esistenti non riescono a far fronte , in questo spazio scoperto si è inserito l’intervento di Welcome. Una rete nata all’interno di JRS Francia – associazione della rete internazionale JRS rappresentata in Italia dal Centro Astalli – che raccoglie laici e gesuiti, e sostiene richiedenti asilo e rifugiati. Welcome è composto da famiglie e comunità che offrono una camera per un periodo determinato, in genere da tre a cinque settimane.
“I nostri ragazzi, che scegliamo in base alla loro adattabilità alla vita famigliare, ottengono l’asilo nel 95% dei casi. Quello che si offre non è un tetto definitivo, è un’accoglienza. Fai colazione in famiglia, spesso con i bambini, l’inserimento dove vivono dei piccoli funziona benissimo, mentre è più complicato quando ci sono degli adolescenti perché può istaurarsi una forma di competizione”. L’ospitalità non deve disturbare i ritmi famigliari e protrarsi troppo a lungo altrimenti al momento di andar via, il richiedente asilo rischierebbe di vivere un’ulteriore separazione, per questo i giovani passano da una famiglia a un’altra o a una comunità. “Una mattina si crea una fila in corridoio, la famiglia è in attesa che il giovane rifugiato finisca le abluzioni che secondo la sua tradizione non sono rapide come i nostri lavaggi mattutini. Un altro ospite non fa uso del bagno, stupisce per questo strano comportamento, finchè con l’aiuto del tutore si scopre l’arcano “non posso usare la stessa toilette delle donne”. Piccoli inconvenienti della convivenza, ma le famiglie non sono lasciate sole, ogni giovane richiedente asilo è circondato da un network: il professore di francese, l’assistente sociale e soprattutto il tutore esterno. E’ questa la figura fondamentale, giovani sui 25-30 anni, laici o religiosi, formati appositamente, ogni settimana trascorrono mezza giornata con il giovane accolto e cenano insieme, lo fanno per tre/sei mesi, lo aiutano con la lingua”.
Ma chi sono le famiglie ospitanti? “Sono molto militanti o molto credenti. Vedono l’accoglienza come una sorta di militanza, come un’opportunità nell’educazione dei figli, per fargli conoscere gli stranieri. Il rifugiato è visto dalle famiglie ospitanti come una persona che lotta per la libertà personale, un eroe. L’ospitalità è fornita anche da anziani, lì in genere l’ospite collabora con i padroni di casa, da una mano. Durante la giornata, soprattutto i maschi, non rimangono in famiglia, mentre le ragazze vivono di più in casa. La convivenza aiuta a superare le paure dei francesi, ma anche dei richiedenti asilo, che non rappresentano la miseria o la sofferenza del mondo, ma il coraggio e il desiderio. E’ molto importante non considerare chi si accoglie come un figlio, un nipote o un ospite d’onore, ma lasciarlo libero e accompagnarlo verso l’autonomia”.
Un po’ di numeri per partire. Le famiglie possono accogliere fino a un massimo di 3 ospiti in dodici mesi. Attualmente Welcome, arrivata al 4 anno di attività, coinvolge a Parigi 50 fra famiglie e organizzazioni religiose che accolgono i ragazzi, il primo anno erano 15. Nel terzo anno i centri Welcome aperti in Francia diventano dieci, oggi sono dieci consolidati e cinque in apertura all’estero. Per partire sono sufficienti piccoli numeri, non si tratta di creare strutture enormi, ma formare un gruppetto affiatato, “noi siamo una decina: due si occupano di accoglienza e organizzazione, tre curano la sensibilizzazione, tre gli aspetti giuridici, due le uscite. E poi sono indispensabili i tutori: il numero delle persone accolte dipende da quanti tutori ci sono. Non è un programma finanziato, l’obiettivo e che altri facciano lo stesso: creare una zona di accoglienza favorevole così da spingere i poteri pubblici ad agire. Vogliamo essere di stimolo, non sostituire. Il nostro è un modo diverso di fare integrazione: si può vivere insieme diventando ambasciatori contro l’integralismo”.
Nicoletta del Pesco(2 novembre 2013)
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