“Qualche anno fa gli italiani organizzavano delle conferenze sull’Africa, oggi sono gli africani ad invitare gli italiani ai meeting” a parlare è Fortuna Ecutsu Mambulu, giornalista, fondatore e coordinatore di African Summer school, arrivato da Verona per assistere al laboratorio di Cooperazione allo sviluppo nell’ambito della giornata di scambio interculturale con laboratori e seminari gratuiti su media e integrazione, organizzata il 7 dicembre all’Auditorium dell’American University of Rome, in occasione della giornata dell’azione globale per i diritti dei migranti del 18 dicembre e in chiusura dell’anno europeo della cittadinanza. “L’iniziativa di oggi ha l’obiettivo di verificare se i cittadini europei hanno conoscenza e consapevolezza dei propri diritti, visto che l’Europa ha diritti umani consolidati. Vogliamo dare spazio agli italiani e alle altre comunità di incontrarsi per scambiare idee sul futuro che vorremmo”, spiega Suzanne Mbyie Diku, presidente Tam Tam d’Afrique Onlus. All’apertura dell’evento gli ospiti, originari di tanti paesi diversi, sono rimasti per un minuto in silenzio in memoria di Nelson Mandela. Dalle 9 alle 13 le seconde generazioni di migranti hanno organizzato quattro laboratori gratuiti su musica, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e nutrizione, condotti dalla cantante Marité, le studentesse Michelle Diku e Maria Grazia Mbambi e i documentaristi Beatrice Kabutakapua e Gianpaolo Bucci. Prima dei laboratori c’è stata una ricca colazione con dolci tipici congolesi preparati in casa dai rappresentanti dell’associazione Tam Tam d’Afrique, come il pranzo offerto, all’aperto, nella bella giornata di sole, che ha permesso agli invitati tra la prima parte e la seconda dell’incontro di socializzare e fare amicizia.
I lavori della mattina sono stati presentati nel pomeriggio, nel corso del seminario pratico, con l’aspettativa di raccogliere nuove idee. “I nostri giovani costruiranno il futuro, pensiamo che questo convegno possa servire da tam tam e sia l’incontro delle esperienze e delle speranze”, conclude Suzanne, ricordando che bisogna sconfiggere l’immagine dell’Africa di oggi basata sugli stereotipi: fame, guerra, violenza, mosche, malnutrizione, barbarie, ignoranza, povertà. “Non si dice che l’Africa è viva, vitale, che produce, che non è violenta ma violentata, e che ha molto da dare all’umanità. Finché si nega e si oscura lo spazio del continente nero, l’umanità non ha futuro”.
Il workshop sulla musica si è concluso con una canzone spiritual gospel, presentata al pubblico dal gruppo composto da tre congolesi e una decina di italiani appassionati di musica, avvolti nelle stoffe tradizionali congolesi. “Abbiamo preparato un pezzo in zulu, la lingua del Sudafrica, uno in congolese e una terza canzone sempre in zulu. E’ stato bello perché in un attimo hanno imparato la lingua e il testo a memoria. In occasione della morte di Mandela mi sarebbe piaciuto fare qualcosa che lo richiamasse”, racconta la cantante Marité. I partecipanti hanno proposto di fare un coro multietnico, un’idea da valutare, visto che Marité, nata a Roma e cresciuta ai Castelli Romani, dirige già il coro di 40 elementi della Parrocchia di Velletri e sta preparando il suo primo album, molto particolare, con delle canzone italiane ed in inglese-congolese.
“Volevo capire quanto i presenti fossero integrati nella cultura italiana dal punto di vista culinario, se il primo approccio con il cibo italiano è stato positivo o negativo, essendo diverso da quello del paese di provenienza”, dice Maria Grazia Mbambi, studentessa all’Università Cattolica e laureata in scienze dell’alimentazione e nutrizione umana. Nel laboratorio si è parlato del simbolo dell’alimentazione come nutrimento, ma anche mezzo di socializzazione: in Italia si usa il caffè per relazionarsi, in Iran si propone il tè oppure in Congo c’è l’abitudine di offrire la birra. “È emerso che la maggior parte degli stranieri, dopo diversi anni di vita in Italia, tendono ad ammalarsi di obesità”, ha sottolineato Maria Grazia. Diverse sono anche come le mentalità: gli africani sono abituati con le donne dalle curve pronunciate, che hanno un’alimentazione calorica e rappresentano esempio di salute e fertilità, invece la donna italiana come indice di salute dovrebbe essere magra.
“La percezione riscontrata nel laboratorio di comunicazione è che le persone siano molto cariche, che sono disturbate di quello che vedono, indignate, però manca l’azione, fare qualcosa per cambiare il modo in cui vivono, probabilmente per una questione d’abitudine dell’Europa di non reagire o lamentarsi”, questa è la conclusione dei documentaristi Beatrice Kabutakapua e Gianpaolo Bucci, che hanno presentato le varie strategie usate dai media per indurre a pensare attorno ad un argomento. Il loro consiglio è di non arrendersi al fatalismo e utilizzare tutti canali media a disposizione, anche i social perché “come individui abbiamo il potere di far sentire la nostra voce: che poi non venga ascoltata, è una complicazione successiva”. I due documentaristi hanno presentato il loro progetto, (In)visible citties, la serie di documentari sulla diaspora africana nel mondo.
“Oggi le persone hanno dimostrato che sono preparate per affrontare delle nuove realtà, esperienze, punti di vista. Dal dialogo, ognuno è tornato a casa con qualcosa che non conosceva. E’ giusto avere degli incontri per contaminarci. Le diffidenze ci sono, la crisi accentua le paure e le differenze ma le mentalità stanno cambiando, c’è più accettazione da parte degli italiani”. Marie Antoanette Magni, italo-congolese, ha partecipato insieme alla madre e alla figlioletta per vedere come lavorano altre associazioni in campo del volontariato, con la sua Onlus Volonté cercano di aiutare i bambini che crescono in prigione in Senegal con le loro madri, incluse quelle che partoriscono in carcere. La loro attività è di prendersi cura di loro fin quando le madri scontano la pena.
“E’ una bella idea la presenza delle seconde generazioni, spesso si dimentica il fatto che questi ragazzi hanno grandi capacità, che sono nati e cresciuti qui”, aggiunge Cleophas Adrien Dioma, direttore del festival October africano, organizzato da 10 anni a Parma e quest’anno anche a Roma. Tutti sono stati contenti di vedere che oggi a qualcuno interessa ancora aiutare e prendersi cura del prossimo. “Non doveva essere una lezione, ma un momento di confronto, abbiamo parlato delle nostre esperienze sulla cooperazione e volontariato, è un modo per donarsi: quando dialoghi con una persona che ha bisogno, anche questa ti sta regalando delle emozioni uniche e si impara moltissimo dalla sua esperienza personale”, conclude Michelle Diku, responsabile del laboratorio.
Raisa Ambros(11 dicembre 2013)