Roma – Teheran, Case del Cinema si incontrano

Una scena da Facing mirrors, le due protagoniste, Adineh
Una scena da Facing mirrors, le due protagoniste, Adineh “Eddie e Rana

Il cinema iraniano nuota in un mare di passione, senza esserne bagnato”. È con una certa poesia che Fereshteh Taerpour, presidentessa dei produttori iraniani, descrive il suo “campo di lavoro”, la cui libertà si muove di pari passo con la politica e la censura.

 Ancora oggi in Iran esistono “tanti paletti alla creatività di un regista, soprattutto se vuole trasmettere il suo messaggio passionale o politico. Di conseguenza anche la produzione è messa a dura prova: non sono ammesse scene di violenza e di sesso – la donna nell’intimità è sempre velata – ma nemmeno abbracci ai figli (la madre col figlio e il padre con la figlia) o i baci dei fidanzati, un attore non può utilizzare ‘mezzi attraenti’, e anche il dialogo è limitato. In altri paesi esistono queste limitazioni?”

 Viste le premesse, l’ultimo film che Fereshteh ha prodotto, e che è stato proiettato all’inaugurazione della rassegna Dentro l’Iran alla Casa del Cinema di Roma (fino al 1 marzo 2014), è allora qualcosa di straordinario e prezioso: Facing mirrors, acclamata opera prima della regista Negar Azarbayjani, premiata anche a Firenze, racconta l’amicizia fortuita di due donne, una delle due intende cambiare sesso, e in Iran è permesso. “Ma fosse l’operazione il problema”, dice la protagonista, ciò che sembra invivibile è tutto il resto, la società, ma ancora di più le famiglie e in particolare gli uomini.

Ad aprire la tematica del relazionarsi tra donne, un piccolo film di 17 minuti: si tratta di Chand kilometr durtar (A few kilometers away, 2013) di Ebrahim Irajzad, girato interamente in macchina. Una donna ha offerto un passaggio a una giovane incinta, ma la conversazione tranquilla nel chiuso dell’abitacolo tra due che non si conoscono, ma sono in qualche modo affettuose tra loro, rivelerà una verità sconvolgente. Anche qui il rapporto tra due donne è trattato, ancora di più vista la scelta registica dello “split”, come “uno specchio da affrontare” che può risultare difficile da capire o addirittura doloroso.

La Casa del Cinema di Teheran
La Casa del Cinema di Teheran

Mi piace tanto il nome Casa del Cinema”, dice Fereshteh, che a sua volta viene dalla Casa del Cinema di Teheran riaperta il 12 settembre 2013: “dipende dalla politica”. L’ha chiusa Ahmadinejad, l’ha riaperta Rouhani, “ma il cinema continua, il nostro ha sempre avuto il suo legame con il popolo”. Secondo Fereshteh infatti, che sembra quasi una zia uscita dal film che ha prodotto, “non è possibile conoscere la cultura iraniana senza il cinema – perfino i film commerciali sono significativi – è postrivoluzionario, molto diverso da qualsiasi altro”.

 Rana e Adineh “Eddie”, all’inizio si incontrano distanti mille miglia: la prima è una giovane moglie e madre credente che come sogni aveva “quello di sposarsi e quello di guidare”, ed Eddie, trans che intende fuggire dall’Iran per poter vivere per quello che è. Rana si improvvisa taxista (per sole donne) poiché il marito è in carcere per ingiuste questioni di debito e lei deve pensare a mantenere la casa e il figlio piccolo. Tra razzismi di genere, anche tra donne – “vai a fare la lavatrice, che è meglio” – e comportamenti femminili misurati al millimetro per non incappare nell’“ira del potere”, Rana incontrerà Adineh in fuga dalla sua ricca famiglia che intende darla in sposa per forza.

 Rana all’inizio urlerà di fronte a lei, come avesse visto un mostro, per poi proteggerla come nemmeno la sua migliore amica, debitrice per la sua vita, ma soprattutto intenzionata in tutto e per tutto a trovare uno spiraglio nella sua religione che potesse dire che queste persone non meritano urla né schiaffi né matrimoni forzati, ma quantomeno compassione perché “sono le più sole di tutti”. Rana ed Eddie alla fine si lasceranno più vicine di quanto un genitore riesca a fare, ma la bellezza dei racconti iraniani è che riescono a farteli vedere da tutte le parti: se un genitore è così cattivo da imporre un matrimonio a una figlia, è perché vuole “far zittire tutti, così potrà fare quello che vuole”.

 Beh, l’Iran è così. Un paese contraddittorio che ha conosciuto capi illuminati e conservatori, una cultura millenaria e una forte sensibilità artistica. All’inizio sembra profilare brutte situazioni, ma poi riesce sempre a trovare una tale poesia accostata alla realtà, un tale coraggio e determinazione, e tante cose da dire, che forse nemmeno le cinematografie più “libere” riescono a fare. Non ci sono baci, effetti speciali, o grandi affettività, eppure, “parafrasando l’antico poeta Rumi, talvolta c’è più distanza tra due iraniani, che tra un iraniano e un italianola vicinanza culturale non ha nessun ruolo”. Se la gente intende conoscersi, basta che lo faccia.

Alice Rinaldi
(26 febbraio 2014)

La rassegna Dentro l’Iran propone i nuovi film della cinematografia iraniana (girati negli ultimi 10 anni), tra cui Chaharshanbe suri di Asghar Farhadi, che anticipa alcune tematiche poi presenti nel film premiato agli Oscar, Una separazione. Programma dettagliato (fino al 1 marzo 2014).