Si percorre la via Prenestina in direzione Togliatti e si ha la sensazione di aver sbagliato indirizzo, nessun edificio, solo le corsie per le vetture e una serie infinita di benzinai. Eppure basta fermarsi al civico 468 salire pochi gradini per avere l’impressione di lasciare la città per trovarsi in una sorta di villaggio fuori dallo stress urbano: è l’oratorio Borgo Ragazzi Don Bosco, comunità educativa e pastorale di salesiani e laici. Giulia Amicone, insegnante volontaria, segue il livello base, con due fratelli egiziani e quattro cinesi, tutti fra i tredici ed i quattordici anni, anche se qualcuno di loro può sembrare più piccolo.
Yu e Feng sono in Italia da soli tre mesi, timidi, hanno paura di sbagliare: ma gli altri dopo sei mesi mostrano già una certa spigliatezza nell’italiano, si buttano anche a costo di incappare in errori. Il vocabolario si arricchisce giocando con le parole. A turno si realizza uno schema stile “impiccato” ma dove nessuno perde, l’importante è arrivare alla piena comprensione. E’ difficile portare avanti un percorso formativo a causa degli inserimenti scaglionati, non programmabili. “Si organizzano scenette per formulare delle frasi, simulando situazioni come l’incontro fra commesso e cliente in un negozio”. Oppure si gioca a “Passaparola”, quiz televisivo in cui bisogna indovinare un termine grazie alla sua definizione avendo a disposizione solo l’iniziale, o ad “indovina chi”, sempre per facilitare la scioltezza descrittiva. “Qualcuno ha acquisito un buon livello di conoscenza della lingua”, continua Giulia, “ai nuovi però dobbiamo dare più tempo. Mediamente i risultati sono visibili dopo il primo anno”.
Un corso improntato alla didattica vera e propria è condotto da Franca Scalici, che viene dall’insegnamento scolastico e ha un altro sistema, più improntato all’organizzazione dello studio. Non si fanno ripetizioni, l’alunno è instradato per svolgere i compiti in autonomia. Nic è eritreo, ama il calcio più che lo studio e si fa chiamare “Balotelli” dagli altri, in onore dell’attaccante del Milan di cui è tifosissimo. Insieme a Daniel sta leggendo un testo di scienze, sulle caratteristiche del pianeta Venere. Sarà il tardo pomeriggio di venerdì che fa pregustare il fine settimana, ma l’attenzione tende a scemare e Franca si traveste da sergente burbero quanto bonario per richiamare all’ordine.
I ragazzi sono tutti inseriti nelle scuole del territorio, “cerchiamo di avere un rapporto mensile con i docenti”, spiega Maurizio Puce, educatore di Borgo Ragazzi, “per monitorare il loro inserimento. Con qualche istituto ci coordiniamo sui programmi per facilitare la partecipazione a corsi interni alla scuola”. Quando vengono indirizzati qui dal collegio o dai servizi sociali, “c’è sempre un incontro con i genitori”, prosegue Puce. “Si fa una prima analisi dei bisogni, una breve anamnesi personale e familiare”. Segue la spiegazione delle attività e delle modalità di partecipazione e l’importanza dei laboratori di socializzazione. “Invitiamo i genitori alle feste organizzate durante l’anno”, in cui si portano piatti tipici delle varie comunità. “Da tre anni poi abbiamo ‘l’angolo del tè’, un momento di confronto fra esperienze educative, dove si discute delle difficoltà e delle risorse. Spesso anche gli adulti non parlano italiano, ma in qualche modo ci si comprende”.
Formazione al lavoro Un’altra attività di Borgo Ragazzi coinvolge sette ragazzi fra i 16 ed i 20 anni, divisi fra rom e rifugiati politici, a volte analfabeti. Oltre alle otto ore di insegnamento di italiano settimanali, vengono seguiti personalmente con percorsi di formazione al lavoro destrutturati: nella ristorazione, nel giardinaggio o nel percorso per diventare estetista. “Alla fine dell’anno i ragazzi sostengono gli esami nelle scuole professionali con cui abbiamo protocolli d’intesa”, racconta Puce, “questo permette loro di inserirsi nella scuola stessa o di ricevere un attestato delle competenze acquisite”.
Per alcuni si apre la possibilità di ricerca lavoro o di tirocini presso aziende anch’esse collegate all’associazione, secondo il progetto educativo elaborato con i servizi sociali invianti. “Per curare questo aspetto è previsto un servizio chiamato sportello aperto dove alcuni educatori monitorizzano l’intero percorso di inserimento”.
“In 22 anni ci sono stati moltissimi ragazzi, ognuno con tante storie”, ricorda Puce. “Da chi ha messo su famiglia e vive serenamente, a chi è rimasto vittima delle recidive, da chi é riuscito a diventare vigile del fuoco, a chi ha perso la vita a causa di droga o altre tristi situazioni”. Ad esempio quella di “un ragazzo proveniente dal penale per il quale si era attivata una borsa lavoro, nel settore della ristorazione; dopo due mesi di regolare presenza e servizio, in cui aveva dimostrato davvero una parte di se nuova e sorprendente, è stato colto in flagranza di reato all’interno di un appartamento insieme ad altri pregiudicati. Purtroppo per lui, avendo compiuto anche 18 anni da poco, non si parla più di penale minorile, con tutto ciò che questo può significare. Ora è a Rebibbia, mantiene con noi una relazione epistolare”.
Ma ci sono anche tanti casi positivi, uno in particolare torna in mente a Puce: “si riferisce ad un ragazzo che in seguito ad un provvedimento di messa alla prova – riparazione al reato tramite affidamento ai servizi sociali e lavori di pubblica utilità (ndr) – è stato seguito in un tirocinio formativo in un’azienda di catering. Ha fatto un ottimo percorso, si è integrato nel team e alla fine è stato assunto. Oggi lavora per la stessa azienda all’interno di una mensa di un ministero”.
Gabriele Santoro (23 aprile 2014)