Elezioni europee 2014: Ovadia per L’altra Europa con Tsipras

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Moni Ovadia, attore, scrittore, drammaturgo, compositore, cantante

Attore, scrittore, drammaturgo, compositore, cantante: Moni Ovadia non ha certo bisogno di presentazioni. Alle elezioni europee 2014 sarà candidato con la lista L’altra Europa con Tsipras nella circoscrizione Nord-Ovest dell’Italia, anche se inserirlo nell’elenco degli eleggibili di origine straniera è un po’ una forzatura: Ovadia nasce sì a Plovdiv, Bulgaria, nel 1946, ma da genitori con cittadinanza italiana, che quando Moni ha poco più di tre anni tornano a Milano. Tuttavia si parla di un personaggio che dell’intercultura ha sempre fatto una bandiera, non solo per le remote origine est-europee, ma anche per il retaggio ebraico ereditato dalla famiglia.

– Si è proposto lei come candidato alle europee o è stato scelto? Per quali ragioni e perché con quel partito?

Mi è stato proposto, sono un attivista, non un politico, ma ho aderito subito con entusiasmo. Ho conosciuto Tsipras ed è una delle persone più sensate e realiste, è ignobile chi lo chiama estremista, forse perché ha così il senso di giustizia da sembrare rivoluzionario. Ma non è populista, né euroscettico. La lista pone al centro l’uomo al posto della finanza e propone che la Costituzione sia votata dai cittadini.

– Quali sono i punti principali del programma che porterà avanti?

L’euro deve essere una moneta di Stato e non del deficit bancario. Poi vogliamo investire nella centralità del lavoro, stanziando ad esempio 100 miliardi all’anno per dieci anni secondo un impianto “rooseveltiano”, recuperando quei 5-6 milioni di posti di lavoro continentali persi per la crisi prodotta dal delirio della finanza internazionale. Qualcuno vuole investire nella flessibilità, che in Italia e non solo vuol dire precarietà, noi vogliamo tornare all’economia reale, rilanciando le imprese e creando nuove start-up. Sosteniamo giustizia, equilibrio, riprendendo i destini di una classe media – una volta appannaggio dei conservatori – massacrata.

– Cosa condivide e cosa invece cambierebbe delle politiche europee attuali in tema di immigrazione? Come vanno affrontate le diversità?

L’immigrazione è inarrestabile. La ricchezza dell’Europa, secondo studiosi anche conservatori e neutrali, sta nell’immigrazione, soprattutto per l’Italia che è un paese sterile. Serve un piano importante di integrazione perché una risorsa va trattata come tale anche se può essere problematica. Poi è una questione di civiltà e di etica, nello straniero si incarna Dio, sostengono le religioni monoteiste. Si dice, “aiutiamoli a casa loro”, ma come in Libia o in Siria? Scappano perché sono disperati, certo c’è anche una piccolissima percentuale di malavitosi, ma quasi tutti cercano un futuro per loro e per i figli. I detrattori invece scatenano guerre fra poveri che portano dolore e vessazioni. Don Gallo, un maestro, partiva dal concetto di etica spirituale interiore, da una compassione tipica del buddhismo, nel senso originario del termine “pathos”, di patire insieme.

– Come deve porsi l’Europa per svolgere un ruolo di distensione nelle guerre vicine e lontane?

Non dobbiamo più essere coinvolti in guerre criminali mascherate da missioni umanitarie, come in Iraq, in Libia eccetera. Le menzogne costano centinaia di migliaia di morti, al 95% civili innocenti. La pace deve essere il centro fondante, ma ci manca ancora una politica comune, per poter dire allo sceriffo americano “fai un passo indietro, risolviamo noi con saggezza e diplomazia”. Ad esempio in Ucraina non dovrebbe intervenire la Nato ad installare missili a 200 km dalla Russia, sarebbe logico aspettarsi reazioni da Putin. Lo stesso in Medio Oriente, dove è una catastrofe perché gli Stati Uniti sono appiattiti su Israele, per negoziare bisogna essere equidistanti. Potremmo diventare il continente più forte.