Lezioni straordinarie: il numero 7 dei Quaderni della Rete Scuole Migranti

Studenti Rete Scuole MigrantiUn silenzio o una parola di un solo studente è sufficiente a far crollare le salde convinzioni di un insegnante. Su questa regola, in estrema sintesi, è costruito il numero 7 del Quaderni della Scuole Migranti, strumenti di formazione a disposizione dei volontari che insegnano italiano agli stranieri. I Quaderni della Rete sono tutti disponibili on line e si basano sulle esperienze maturate nelle scuole del Lazio.

L’analfabetismo è contagioso. Così si intitola la prima parte del numero 7 curata da Chiara Bergamini. “Insegno italiano in un centro di accoglienza a Roma, nel quartiere Centocelle Alessandrino, che ospita 20 pakistani in attesa di documenti. Abbiamo istituito 2 classi separate: una di alfabetizzazione e una di pre-alfabetizzazione. A me è toccata quest’ultima e da allora tutto quello che sapevo di glottodidattica è finito”.

Chiara racconta la difficoltà i gestire una classe di stranieri a digiuno di qualsiasi regola linguistica. Spiega di aver cambiato più volte strategia: ha provato prima con le sillabe poi con l’alfabeto per immagini, poi ancora ha cercato di risvegliare l’interesse degli alunni con degli argomenti familiari. Ai silenzi si sono aggiunte le assenze: “hanno cominciato a non venire a scuola, o a stare in classe con aria svogliata, senza partecipare alle conversazioni proposte da me e senza proporne altre”. Le cose sono cambiate un po’ quando ha iniziato a lavorare sulle storie: “I testi classici sono capaci di parlare a chiunque, se letti e riletti senza fretta e senza scopo. Le parole si disvelano da sole e con loro il significato e il loro ruolo all’interno della frase”.

La risposta positiva ha ridefinito il patto tra studenti e insegnante, che si è messa in gioco cercando di imparare la volpe e l’uva in urdu. “Mi sorprendono sempre”, dice. “Nella mia classe siamo 7, analfabeti e semianalfabeti, 6 pakistani e un’italiana”.

La seconda parte, invece, si intitola “Ma quale italiano?”. Giulia Sepe racconta di come si sia dovuta arrendere al nemico numero uno di qualsiasi insegnante d’italiano: il gergo. A costringerla le sue studentesse provenienti da diverse parti del mondo, e con un livello di italiano tra l’A1 e il B2. “Anche le più brave avevano problemi a comunicare nella vita quotidiana”, dice. “Ho accettato che, se volevo che le mie studentesse riuscissero a integrarsi – o anche solo a comprendere – la nostra cultura nella sua quotidianità, quindi anche al mercato o per strada, dovevo affrontare il temutissimo Romanaccio”. Se la finalità dell’insegnamento L2 è l’inclusione, tralasciare una buona parte della comunicazione verbale è un paradosso.

Fondamentale per superare la resistenza intellettuale alla parlata del popolo è stata la lettura del libro La lingua batte dove il dente duole. Tullio De Mauro e Andrea Camilleri dibattono sul rapporto degli italiani col dialetto e osservano che anche le persone più colte a volte non trovano un equivalente per un termine dialettale. Giulia racconta di come il dialetto sia riuscito addirittura a chiarire le idee delle sue studentesse sulle regole dell’italiano. E all’interno del Quaderno suggerisce una serie di video, esercizi e strumenti per fare tesoro delle espressioni popolari. È proprio vero che non si finisce mai di imparare.

Rosy D’Elia
(17 giugno 2014)

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