Il Brasile di Stefano Bollani ed Hamilton De Holanda

bollani de holandaMentre è ancora fresca nella mente l’immagine del Maracanà illuminato dalla finale dei Mondiali, l’Auditorium Parco della Musica di Roma il 16 luglio trasporta le tremila persone della cavea direttamente in Brasile. Quel piccolo (grande) miracolo cittadino che è il Luglio Suona Bene, giunto ormai alla sua dodicesima edizione, ha infatti portato sul palco che ospita la rassegna anche Stefano Bollani ed Hamilton De Holanda. Un pianoforte e un mandolino (a dieci corde), un istrione e un timido, due attori – comunque – di un dialogo serrato che, nella migliore tradizione del jazz, ha rispettato per quasi due ore tempi, modi e improvvisazioni tipici del genere.

I brani sono quelli di Que será, titolo dell’album del duo e pezzo di apertura, ma i rimandi sono tanti, e fra Chico Buarque ed Astor Piazzolla riesce a trovare spazio anche la canzone napoletana, con una Reginella che lascia aperta la domanda su chi, fra la tradizione del sud Italia e quella d’oltreoceano, renda meglio omaggio al mandolino.

Bollani, che già da solista aveva mostrato interesse per la scena musicale brasiliana, trova in De Holanda il compagno perfetto per esplorare una scena musicale tanto ampia. La sintonia è totale: lo capisci dagli sguardi, dai cenni, dagli attacchi di uno cui segue la risposta immediata dell’altro. Lo capisci quando attaccano Canto de Ossanha, e pizzicare le corde non basta più, battere sui tasti è troppo poco: e allora si cercano le percussioni nel legno del mandolino, nell’interno del pianoforte, che se ci infili la testa il suono si sente ancora meglio. E così stare seduti non è possibile: non possono farlo i musicisti, non può il pubblico. È tutto un ondeggiare, la cavea strapiena. Bollani si alza, e se si frena dal saltare in giro per il palco è solo perché allontanare le mani dal pianoforte gli impedirebbe di proseguire il gioco. De Holanda mantiene la calma, ma i piedi tradiscono quella compostezza e vanno per fatti loro, battendo il tempo insieme alle mani, alle corde e al ticchettare delle scarpe della platea.

Bollani, che in questo duetto brasiliano è lontano dalle atmosfere goliardiche dei tempi di Guarda che luna – lo spettacolo tenuto insieme a Banda Osiris, Enrico Rava, Enzo Pietropaoli, Giammaria Testa e Piero Ponzo – si lascia andare quando dal pubblico una signora gli urla “Bello, bellissimo!”, rispondendo un “grazie, mamma” che stende. È tempo degli arpeggi, questo, degli assoli che devono essere rispettati in silenzio fino a quando non è il momento di intervenire, sempre in punta di piedi, sempre in equilibrio, che nel jazz dirigere il gioco è fondamentale, ma ancora di più lo è capire quando non è ancora il proprio momento.

Sul palco del 16 luglio nessuno è ospite dell’altro, se non il pubblico. Che, preso per mano, è volato per due ore direttamente sopra Rio.

Veronica Adriani

(17 luglio 2014)