Uno SPRAR inaspettato: tra memorie di briganti ed agricoltura

itri castelloLo SPRAR di Itri (LT) è stata la vittoria di una scommessa, iniziata da un gruppo di persone con diverse provenienze e professionalità, che ha deciso d’investire sul proprio territorio e su se stessi. Il progetto è stato presentato dal Comune di Itri e Maura Burali d’Arezzo è l’operatrice che incontro e che mi racconta ciò che sono riusciti a realizzare, in maniera insperata, in un territorio difficile come quello della provincia ed, in particolare, di un paese di montagna che conta circa 10.000 abitanti.

SPRAR, identità e risorse. L’intervento attuato ad Itri si inserisce nell’ampio progetto del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (ovvero SPRAR), istituito nel 2002, che si costituisce attraverso una rete di enti locali che per realizzare i progetti accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Altre risorse straordinarie arrivano dai progetti finanziati dall’Otto per Mille dell’IRPEF assegnate ad ANCI dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e dalle risorse della Protezione Civile.

Il Lazio e lo SPRAR. Nel 2012 le persone accolte sono state 1707 il che rende il Lazio una delle regioni con il più alto numero di posti finanziati. La dinamica di accoglienza più usata è quella che provvede ad un appartamento per gli ospiti, come confermato anche dal progetto SPRAR di Itri, che vede anche una percentuale più alta di uomini rispetto alle donne. Evidenza empirica in linea con il profilo regionale: 80,7% uomini e 19,3% donne (Fonte: Atlante SPRAR 2012/2013).

Così la situazione di emergenza nazionale, relativa soprattutto alla forte carenza dei posti letto e la prossimità ad un punto importante come Cassino hanno fatto sì che a Febbraio 2014 il progetto partisse immediatamente ed a pieno regime.

In Agosto è iniziato il mio viaggio nelle storie di persone che non mi avevano mai vista e che hanno scelto di parlarmi delle proprie vite, in un mix sorprendente di sofferenza e speranza per il futuro, che si sta realizzando all’interno di questo progetto SPRAR.

Incontrare Dagmar ed Ras è particolarmente complesso, ho il numero di telefono di uno dei due e ci scambiamo rapidi messaggi sul posto e l’ora dell’appuntamento: il risultato è che ci attendiamo per circa un’ora in luoghi differenti! Nonostante questi tentativi di boicottaggio reciproco riusciamo infine a trovarci, e, sotto una finestra, iniziamo a chiacchierare. Provengono entrambi dal Senegal ed infatti di tanto in tanto si tuffano in conversazioni fitte in wolof che poi vengono pazientemente tradotte tra l’italiano e l’inglese. Ras è un ebanista, mentre Dagmar è un contadino. La ragione della migrazione è la medesima: povertà. Oltre questa, aggiungono entrambi, in Senegal c’è una situazione di conflitto interno, tra i ribelli ed il governo, che mette quotidianamente a rischio la vita di quanti vorrebbero solo vivere tranquillamente.

Come sono belli questi ragazzi signorina, mi fanno pensare a noi di un tempo”, a parlare è una signora nascosta dietro le tendine di una finestra spalancata, quella sotto la quale ci siamo messi a chiacchierare. E prosegue “anche noi siamo emigrati in tanti, eh, io sono stata in America pensi, e poi sono tornata qui, però prima sono passata da Genova!” specifica “mi fanno una tenerezza questi ragazzi, e poi sono davvero delle brave persone, non danno fastidio a nessuno, e si trovano bene qui, chissà se riusciremo ad aiutarli”. Chissà le faccio eco nella mia testa, e chissà se Ras riuscirà a fare il falegname qui ed Dagmar il contadino, in una terra d’agricoltura com’è Itri. Sicuramente il percorso da intraprendere è sempre il medesimo, ovvero legato al tirocinio che dovrebbero svolgere presso piccole imprese locali. Intanto, la loro integrazione prosegue a gonfie vele e Ras riesce ad andare anche al cinema, talvolta con quello che è considerato un po’ il matto del paese, ma che però non lo giudica, lo accoglie e probabilmente anche grazie a Ras si sente anche meno solo.

Il sogno di entrambi i ragazzi del Senegal è infatti rimanere qui, fare il mestiere che hanno fatto per una vita, nonostante la giovane età, e “stare tranquilli” mi ripetono pronunciando quella “q” come una “ch”, poco importa, il senso è giunto forte e chiaro.

Poca tranquillità c’è invece per Bem del Mali, e Lisimba del Senegal, si raccontano poco, parlano a bassa voce in un inglese fitto fitto e fortemente accentato. Descrivono una storia di povertà, di una fuga attraverso diversi paesi dell’Africa, fino alla Libia, per ottenere una vita migliore, sicuri che l’Europa avrebbe dato loro questa opportunità. Le loro reazioni al diniego dello status di rifugiati sono diverse e contrastanti: Lisimba è triste, ed in quegli occhi infinitamente più bianchi nell’inchiostro della sua pelle, si scorge la disperazione di chi non sa cosa fare domani, quando il tempo al progetto SPRAR avrà termine. Suda freddo, accetterebbe qualsiasi tipo di lavoro, e sta perdendo pian piano la capacità di reagire, di dare una risposta a chi gli sta intorno. Il problema è sempre l’impiego. Bem invece ha una reazione di rabbia, di rimprovero verso chi lo sta facendo aspettare così a lungo, verso chi non sa dargli le risposte sulla residenza, sui documenti e su tante altre domande che si pone quotidianamente. Se ne chiede la ragione e questo senso d’impotenza, di fronte ad una macchina più grande di lui che lo schiaccia, lo irrigidisce, ne indurisce i tratti e crea rancore.

Rino e la bicicletta dello SPRAR. Tuttavia, se ci si affaccia dalla finestra e si vede in bicicletta Rino, un altro degli operatori del progetto SPRAR, sfrecciare avanti e indietro alla ricerca di documenti e risposte, in merito alle problematiche relative agli appartamenti. C’è inoltre un operatore legale dedicato che si occupa della documentazione necessaria, recandosi frequentemente alla  Questura e al Comune. Si sta agendo tutti dalla medesima parte, e le esigenze diverse rischiano talvolta di allontanare gli uguali.

In generale, la vita degli ospiti è scandita dalla scuola, e dal corso d’italiano disponibile tutto l’anno, dal lunedì al giovedì. La lingua è infatti il primo scoglio da superare per potersi ricollocare professionalmente ed umanamente. I tempi dall’arrivo alla convocazione di fronte la commissione che stabilirà se dar o meno loro lo status di rifugiati sono molto stretti, e quanto più riusciranno a raccontare (e a convincere) su se stessi, tanto più l’auspicio di ottenere l’agognato documento potrà concretizzarsi.

E tuttavia, Zakaria, pakistano, con l’italiano proprio non va d’accordo. Chiede infatti ad un amico pakistano di mediare linguisticamente con me, parla meglio l’urdu, naturalmente, e sceglie la sua madrelingua per raccontare con fermezza e con un sorriso stampato il suo sogno qui in Italia: diventare pizzaiolo. Provocatoriamente aggiungo che allora bisogna conoscere molto  bene l’italiano altrimenti se in cucina dovrà prendere un pomodoro cosa si troverà ad afferrare? In risposta, mi sorride, sta al gioco, non risponde, forse ci rimugina su, non so, per adesso anche questo incontro volge al termine ed è per loro tempo di preghiera.

Hammed e Aisha sono due giovani pakistani e quando m’incontrano desiderano farlo nella propria casa, orgogliosamente. Attualmente, sono gli unici ad aver ottenuto lo status di rifugiati. Sono una coppia e per esserlo hanno dovuto scappare via dal proprio Stato. Il viaggio per arrivare è stato molto lungo, oltre 40 giorni, ed una volta giunti in Italia la trafila burocratica è stata infinita ed Hammed la ricorda tutt’oggi con sfinimento, come un’ulteriore prova per la sua salute già provata da interventi chirurgici. Oggi, il loro obiettivo è rimanere in Italia, Aisha è abile nel cucire e vorrebbe darne prova, con buona probabilità nella bottega equosolidale del piccolo centro medievale di zona. Tuttavia i cavilli formali per ottenere questo tirocinio sono numerosi, i tempi lunghi, e la pazienza poca. Ma il tempo per offrire delle leccornie si trova, e Aisha mi offre riso dolce con latte e frittelle.

La religione è l’argomento centrale nella chiacchierata con Farrokh, il marito nella coppia di iraniani che si trova al piano di sopra rispetto al gruppo appena incontrato. Ci sediamo ad una scrivania, due sedie, una per ciascuno, ed un computer con la tastiera in italiano ed in persiano e la presenza sullo schermo di google translate, perché l’inglese non basta a capirsi e a condividere le proprie vicissitudini. Farrokh racconta una storia di persecuzione della sua scelta religiosa, che l’ha portato ad un esilio forzato quando lui era partito solo per una vacanza, e pensava di ritornare.

Una volta arrivato in Nord Europa tuttavia la situazione è cambiata radicalmente: tornare in Iran avrebbe significato essere in pericolo di vita, e quasi sicuramente l’arresto. Pertanto Farrokh ha preso una decisione drastica: restare.  E così, in riferimento al regolamento di Dublino attualmente vigente si trovano adesso in Italia. Sono una coppia di professionisti specializzati, lui nel campo della microtecnologia, applicata ad una particolare marca di cellulari che lo rende un esperto nel suo settore, lei come tessitrice di tappeti, elaborati, che raccontano storie, stavolta mitiche. Inoltre, nella penisola, le opportunità per il loro bambino sono sicuramente maggiori, e con il sorriso e qualche carattere scritto che non conosco, me lo ribadisce chiaramente.

E questa è dunque la risposta del territorio, di una zona conosciuta come terra di briganti, che ha dato i natali al leggendario Fra’ Diavolo e che oggi accoglie cittadini del mondo, che qui approdano, più o meno consapevolmente alla ricerca di una nuova strada, di nuove prospettive, semplicemente di un futuro.

Piera Francesca Mastantuono

(28 settembre 2014)

LEGGI ANCHE:

Rapporto SPRAR: flussi migratori e responsabilità europeeDublino III: novità e potenziamenti del Regolamento europeoMos Maiorum: l’operazione europea per intercettare i migranti irregolari