Donne Rom attiviste per l’emancipazione

Saska Jovanovic
Saska Jovanovic

Venerdi 28 novembre il network delle donne rom (Rowni) si è incontrato negli spazi della Cgil a pochi passi da piazza Vittorio. L’incontro, promosso dalla rete di attiviste, ha inteso confrontarsi sugli strumenti impiegati ed i risultati ottenuti dalle strategie messe in atto per combattere la segregazione di genere e di minoranza etnica cui le donne rom sono soggette. Hanno contribuito a spaziare oltre la realtà italiana le rappresentanti di reti di donne rom attiviste provenienti da Bulgaria, Bosnia e Herzegovina, Germania, Macedonia e Serbia.

Istruzione, lavoro, salute, politiche per gli alloggi e status giuridico. Questi i temi cardine del dibattito tracciati dalla “strategia di inclusione di rom, sinti e caminanti” approvata in Italia il 24 febbraio di concerto con le strategie nazionali ed europee sull’inclusione 2014-2020. Solo intervenendo sinergicamente su tutti i  fattori si potrà giungere ad una vera emancipazione della figura femminile nella società rom. L’indipendenza della donna nella nostra società è una realtà che fatica ad affermarsi nonostante le politiche messe in atto; per la minoranza delle donne rom l’emergenza si aggrava ulteriormente in quanto si trovano inserite in un sottoinsieme sociale basato su rapporti di tipo patriarcale che di fatto ostacolano l’autodeterminazione della donna stessa.

Istruzione. Per le bambine rom l’adolescenza finisce intorno ai 10 anni, si sposano entro i 17 anni e la scuola è percepita come una minaccia al ruolo sociale che la futura donna dovrà ricoprire nella comunità di appartenenza. Ne consegue che le bambine rom, ancora più dei maschi, faticano ad ottenere un grado di scolarizzazione alto in conseguenza degli obblighi sociali cui sono sottoposte. L’impegno della rete di donne rom attiviste si traduce in una battaglia aperta su entrambi i fronti, interno ed esterno. “In questo caso sono costretta a fare una denuncia nei nostri confronti” dice Danijela Jovanovic, operatore sociale nel campo dell’istruzione, attivista e vicepresidente dell’associazione Yu Rom di Napoli. “Nel corso della mia ventennale esperienza come mediatore culturale prima ed operatore sociale poi, so che esiste un solo caso di un rom iscritto a giurisprudenza. Non é un caso che la sua famiglia sia ben integrata. Nei progetti di inclusione sociale andrebbero inseriti anche i genitori per superare una mentalità ristretta. I ragazzi rom sono emarginati dai professori più che dai compagni di scuola . L’italia è troppo indietro rispetto l’Europa, bisogna alzare il livello di istruzione e portarlo oltre la terza media. Troppa solidarietà ed assistenzialismo non fanno bene ai rom, sopratutto quando provengono dalle manovre interessate dei politici”. In Bulgaria, racconta Miglena Mihaylova, avvocatessa e direttore dell’associazione Lider, il lavoro congiunto di stato ed associazionismo ha portato a buoni successi grazie a borse di studio e politiche mirate. Nel 2010/2011 è stata approvata una legge per anticipare di due anni l’inizio della prima classe per i bambini rom. Ci sono progetti per il tempo pieno a scuola e non è un caso che il direttore esecutivo del centro per l’integrazione ed inclusione dei bambini delle minoranze etniche, istituito nel 2004 dal governo, sia una donna Rom.

Lavoro ed emancipazione. “La base economica è fondamentale per agire su tutti gli altri fronti” racconta Indira Bajramovic, presidente della prima associazione di donne rom “futuro migliore” di Tuzla, la cosiddetta città del sale in Bosnia e Herzegovina.  “Abbiamo sviluppato un progamma per l’imprenditoria e l’impresa che, grazie a prestiti, ha permesso di cambiare il modello di pensiero delle famiglie coinvolte attraverso la maggiore indipendenza economica che ne conseguiva. Ogni progetto è stato tarato in base alle potenzialità della famiglia scelta. Sono nate così piccole imprese agricole che, grazie al contributo attivo avuto nell’organizzazione e nella gestione dell’impresa, hanno emancipato la donna nel contesto familiare”. Interessante notare che il 20% del prestito ottenuto andava restituito ad altre famiglie inserite negli stessi progetti, anche sotto forma di prodotti della propria impresa. La vicepresidente del network e stilista, Concetta Sarachella, denuncia invece in Italia una generale discriminazione nei confronti della donna rom in fase della selezione del personale. Cognomi identificabili con il gruppo sociale di appartenenza diventano facilmente criteri di esclusione. “Le donne rom che lavorano – dice – sono quelle che hanno sviluppato una loro professionalità indipendentemente come nel mio caso, e bisogna intervenire per abbattere questa struttura segregata, offrire più opportunità”.

Il network delle donne attiviste rom (Romni Onlus) nasce grazie al contributo di quattro donne rom ed una sinti nel  2010. Ha già organizzato un evento l’otto marzo, data simbolica, per “tessere la rete”, collaborare per uscire dallo stato di subalternità in cui le donne sono tuttora segregate, sia nella società italiana che nella comunità rom. Spiega il presidente Saska Jovanovic “vogliamo scambiare le nostre esperienze, mettere in comune le idee, fare rete. Creare un database con cui contribuire alle politiche per l’inclusione sociale e la partecipazione attiva della nostra minoranza. Difficile è stato trovare donne con la forza necessaria per opporsi allo stato delle cose, che avessero lo spirito anche di danneggiarsi per influire sul futuro della nostra società. Ma ci siamo trovate, ognuna con la sua specificità, ed incontrate ovunque capitasse, in pieno stile Romané se non avevamo spazi a disposizione per le riuonioni. Ovvero, dove ti trovi, fai: ovunque capitasse, fossero parchi o in una pizzeria al taglio”. Tra gli obiettivi di queste coraggiose donne, d’esempio per tutta la comunità rom, rivestono ruolo particolare l’abbattimento dello scarso indice di istruzione femminile e non, il rifiuto delle forme di assistenzialismo e politiche dimostratesi inefficaci nel lungo termine. Importanti sono inoltre l’aggregazione sociale, la comunicazione e la partecipazione civica attraverso la collaborazione con le istituzioni. Spiega sempre il presidente come sia necessario il recupero, la preservazione e la divulgazione della tradizione rom, anche inquadrate nell’ottica dello sviluppo di forme di autoimprenditorialità.

 ( Davide Bonaffini )