Crisi Come Opportunità parla la presidente Giulia Agostini

Crisi Come Opportunità onlus si occupa di laboratori di formazione e sensibilizzazione dei giovani attraverso l’arte dal  teatro alla musica rap, alla sceneggiatura e al cinema. Opera in contesti di emarginazione sociale, soprattutto nelle carceri minorili e nelle scuole. In passato la onlus ha anche lavorato nelle favelas e nei campi profughi libanesi. Giulia Agostini è la presidente della Onlus CCO che ha sede nella Casa Internazionale delle donne di Roma.

Giulia Agostini, presidente di CCO

Pensando all’8 marzo: il patriarcato agisce attraverso l’intreccio di condizioni economico-sociali e culturali? E come opera in diversi contesti? C’è un leitmotiv che potete riscontrare nei paesi esteri e in Italia?

Senza dubbio le dinamiche nelle quali la donna si trova maggiormente in una posizione di svantaggio le abbiamo riscontrate – e le riscontriamo – prevalentemente all’estero. Se dovessimo fare un esempio attraverso i nostri progetti, potremmo dire che è stato più evidente in Libano. In Italia tutto questo c’è ancora, ma è più “velato”, misterioso a volte intimo. È per questo motivo che CCO ha scelto di lavorare sul contesto culturale, e di farlo soprattutto con e per i giovani, per andare a scoprire ciò che non emerge a prima vista, quello che in famiglia o nei contesti scolastici passa come “normale” e che è più difficile da estirpare.

Voi lavorate anche nelle carceri, ci può parlare del progetto BARRE APERTE?

Intervenire nel contesto culturale per noi significa proprio questo: usare l’arte come strumento di sensibilizzazione.
Dieci anni fa abbiamo iniziato un percorso di educazione culturale anche all’interno degli Istituti di Pena Minorili, il primo è nato grazie alla collaborazione con il rapper napoletano Lucariello, con cui abbiamo avviato un laboratorio rap nel carcere di Airola, in provincia di Benevento. In Campania ci sono due carceri minorili, Nisida e Airola, quest’ultimo era il carcere dimenticato, è stato proprio Luca a dirci che i ragazzi avevano bisogno di aiuto. Il nostro è diventato col tempo un presidio permanente: 4 giorni a settimana, in cui non si insegna solo rap, non a tutti piace, ma è possibile partecipare a corsi di teatro e di sceneggiatura. Non solo, sono state prodotti anche due cortometraggi scritti dai ragazzi e girati con la regia di Maurizio Braucci. L’arte è fondamentale per entrare in contatto con i ragazzi ristretti, creare un legame di fiducia. L’arte, in particolare il teatro, la sceneggiatura ed il rap, sono per noi degli strumenti potentissimi per favorire sia la valorizzazione e lo sviluppo delle capacità personali dei ragazzi, che lo scambio di esperienze tra pari ed il re-inserimento nel contesto sociale di riferimento.
La serie BARRE APERTE è il racconto di quanto abbiamo costruito in questi dieci anni, un viaggio in otto puntate condotto dal rapper e attivista Francesco Carlo “Kento” che ha saputo tirare “fuori” tutta la bellezza e la difficoltà di un mondo che è “dentro”, dietro le sbarre, ma che ha voglia di ricominciare e riscattarsi.

 

 

Tutte le componenti di CCO

Ha notato delle differenza, nell’integrazione e nei comportamenti, fra i migranti e gli italiani che vivono in carcere? 

Le carceri sono realtà molto diverse, sono dei micromondi, delle microsocietà compresse e molto diverse tra loro. Nel carcere di Airola, per esempio, si trovano solo coloro che provengono dal territorio; mentre a Roma e a Catanzaro ci sono tanti stranieri, molti di loro che non parlano ancora bene l’italiano. A Milano, invece, un fenomeno diffuso solo le gang latine, ne fanno parte anche molte giovani donne, la maggior parte di loro provenienti anche da altre culture. Questo è per noi un’occasione preziosa per capire le dinamiche non solo all’interno degli istituti, ma per comprendere meglio il lento processo di integrazione del nostro Paese. Ed è qui che la musica fa da collante, da gancio di attracco, per permettere a questi ragazzi di esprimersi, di farsi sentire, alcuni cantano anche nella loro lingua di origine, come l’arabo, mescolandola alle sonorità locali e più contemporanee. È la magia della musica.

Quando lavorate nelle scuole trovate differenze fra ragazzi/e italiani e stranieri? E fra ragazze straniere e ragazzi stranieri?

Nelle scuole abbiamo fatto molti progetti di sensibilizzazione attraverso l’arte. Mandiamo in classe dei nostri volontari che stimolano la riflessione su tutte quelle tematiche che orientino verso una cittadinanza attiva, dalla criminalità organizzata allo stereotipo di genere. Un formato vincente che stiamo portando avanti da molti anni e che ha prodotto non solo spettacoli teatrali, ma anche un documentario in cui si affrontano proprio i temi del riscatto sociale e della criminalità organizzata.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, se cioè vi sono differenze fra ragazzi/e italiani e ragazzi/e straniere, dipende molto di che generazione siano: se sono di seconda generazione, per esempio, non notiamo che ci sia molta differenza; se invece sono di prima generazione l’alfabetizzazione diventa un problema – lo stesso che riscontriamo nelle carceri -, perché la mediazione linguistica non è abbastanza efficace. Sul tema della differenza di genere, anche in questo caso, dipende dalla provenienza, se da paesi integralisti o meno. Un aspetto che a volte, confesso, troviamo anche in Italia, come in Calabria, dove la questione di genere è molto forte anche fra le generazioni più giovani.

Marco Marasà

11/03/2022

Leggi anche: