Multicoolty: cittadini del mondo in un blog

multicoolty team
Il team di Multicoolty. Da sinistra: Eve, Inga, Nasima, Masha, Ying, Lorena e Federica.

Tutto nasce quando Evgenia e Inga si incontrano in Germania. Una è russa, l’altra estone, ma entrambe si sentono cittadine del mondo. Quando si incontrano, incrociano blocco note e macchina fotografica e in breve tempo, raccogliendo storie di altri migranti, lanciano Multicoolty.

Un passo alla volta il progetto cresce, sì grazie al sito, ma soprattutto ai social network. L’idea piace a tal punto che giornalisti e blogger dal resto dell’Europa iniziano a farsi avanti: Multicoolty arriva in Italia, poi in Francia. Ci si scambia informazioni, si amplia la rete di contatti, si realizzano nuove interviste per raccontare le storie di chi ha lasciato il proprio paese e, magari, ha trovato una nuova casa.

Tra i Multicoolty italiani c’è ad esempio Andrzej, polacco che vive in Italia da quattro anni. O Elena, che si racconta così: “Nel certificato di nascita c’è scritto russa, perché i miei genitori sono russi, in realtà sono nata a Donetsk ed ho due cittadinanze: moldava ed italiana e da quasi 12 anni vivo in italia“. O ancora Mercedes, “romana per scelta“, o Federica, che a 17 anni fa le valigie e parte per la Cina. Sono storie varie, che raccontano tanti mondi. E a raccoglierle ci sono loro: i ragazzi che per primi le hanno provate sulla loro pelle.

Evgenia detta Eve, italiana d’adozione per sette anni, è giornalista e media analyst. Realizza personalmente alcune delle interviste, e sulla qualità delle storie non ha dubbi:”sono molto positive in tutti e tre i paesi”, malgrado alcuni ostacoli. “Ovunque la difficoltà principale è imparare la lingua, trovare amici o conoscenti , vincere la burocrazia”. E le discriminazioni? “Qualche volta capita di conoscere chi le ha subite già da piccolo” spiega Eve, ma più spesso i problemi sono materiali: “è molto interessante intervistare chi ha vissuto, per esempio, prima in Italia e poi in Germania. Si sente spesso dire che in Italia si stava meglio per il clima, il cibo e la gente, ma la necessità di lavorare poi spinge verso la Germania“.

Raccogliere storie è facile: i social network sono il veicolo più efficace per contattare expat e migranti, ma l’esperienza personale conta, eccome. “Ci piace andare per strada e parlare con chiunque” racconta Eve “, sfruttiamo conoscenze dirette e incoraggiamo persone già intervistate a presentarci I loro contatti”, e il resto viene da sé. Ci si chiede se incontrare persone provenienti da paesi così tanto diversi abbia fatto emergere delle “buone pratiche” da mettere in atto, ma per Eve “quello dell’integrazione e’ un concetto molto complicato: per integrarsi o sentirsi integrato non c’è una ricetta magica valida per tutti“. Certo, alcuni paesi hanno adottato delle strategie valide: “la Germania con i suoi corsi di lingua gratuiti dà un buon esempio. I corsi e il materiali sono offerti dallo stato, ma alla fine bisogna superare un test di lingua: se si fallisce dopo tre tentativi, a pagarli è lo studente”. La conoscenza della lingua, come spesso si dice, è un punto chiave, “ma non basta per sentirsi integrati. A Colonia, dove vivo, più del 34% della popolazione ha radici straniere. In quasi tutti i luoghi di lavoro ci sono persone che non hanno origine tedesca: questo per me è un forte segno di integrazione. Persone di diverse etnie che lavorano assieme su un progetto o su un servizio pubblico e per i cittadini del posto“.

Perché in fondo sono proprio i locali ad avere in mano la carta dell’integrazione: “in inglese c’e un proverbio che dice: il tango si balla in due” scherza Eve. “Spesso non basta sentirsi integrati dentro: le persone del posto dovrebbero essere aperte ad accoglierti ed accettarti anche se la tua cultura e la tua mentalità sono diverse dalla loro”.

Veronica Adriani

(10 settembre 2015)