Migrazione: per una nuova politica dell’Europa

Manzione e Kyenge
Manzione e Kyenge
La Ue non ha saputo gestire la questione della migrazione e allora c’è bisogno di rifare le fondamenta della sua politica. Parte da questa constatazione il rapporto Kyenge-Metsola, presentato il 18 marzo presso la Sala Conferenze del Senato. Non si tratta di una proposta di legge. Vola più alto questo rapporto, perché è un documento politico, un piano strategico. Se avrà l’ok del Parlamento Europeo esso sarà la posizione di questo organo sull’immigrazione e l’asilo nei prossimi anni. Sarà quello che farà l’Europa. E allora il rapporto e il dibattito che seguono, tenutisi a Roma, tocca molti punti cruciali: Dublino, visti d’entrata, frontiere, hotspost…E ha come protagonisti Kynege, Ravetto e Manzione.Il rapporto – che ha ottenuto l’80% di voti favorevoli della Commissione del Parlamento Europeo, il 16 marzo – ora punta dritto alla data del 12 aprile. Per quel giorno è attesa una plenaria del Parlamento, preceduta da un dibattito. Relatrici: l’eurodeputata maltese Ppe Roberta Metsola e la ex ministro italiano Cecile Kyenge. “Dobbiamo mettere fine all’approccio securitario che ha fallito – dice l’europarlamentare e relatrice Kyenge- fare proposte strutturali e globali“. “Il fallimento delle politiche degli ultimi 20 anni – dichiara la Kyenge – sono sotto gli occhi di tutti. Come sono sotto il nostro sguardo anche le catastrofi umanitarie in corso”.Le chiavi di soluzione di questa crisi? Punto primo  “il superamento del Regolamento di Dublino – continua Kynege – propongo che la domanda d’asilo non sia più rivolta allo Stato di prima accoglienza, ma all’Unione Europea e gestita solidalmente fra tutti i 28 Stati Membri”. Per i visti  “in commissione parlamentare abbiamo fatto nostra la previsione contenuta nel rapporto al voto oggi stesso sulla revisione del codice visti: propongo che tutte le persone bisognose di protezione internazionale possano richiedere un visto umanitario presso ogni consolato o ambasciata di uno Stato terzo. Una volta concesso il visto, il detentore deve poter rientrare in questo Stato per presentare la domanda di protezione internazionale”. Fanno parte di questo piano anche i cosiddetti “corridoi umanitari”, canali per l’ingresso legale dei migranti all’interno del suolo europeo, cui deve far seguito un forte piano di integrazione. Il rapporto punta i riflettori anche sulla lotta al traffico e allo sfruttamento delle persone e alla protezione dei bambini: secondo l’UNHCR nel febbraio 2016 del totale degli arrivi in Grecia il 40% era composto da bambini. Salvare Shehghen è un altro importante tassello . “Non salvare Shenghen vuol dire non salvare l’Europa – afferma Laura Ravetto, parlamentare FI, Presidente del Comitato Bicamerale Schengen”. “Di fatto – continua – sette Paesi hanno già attivato i controlli alla frontiera”.Il sottosegretario del Ministero degli Interni Manzione ha poi fatto il quadro della situazione forneno dei numeri. “Nel 2011 sono stati 61mila i migranti sbarcati in Italia, nel 2014 170mila, nel 2015 sono diminuiti a 153800”.  Per la rotta mediterranea “nel 2014 gli arrivi sono stati soprattutto di siriani ed eritrei, nel 2015 pochissimi siriani, gli eritrei circa 31mila. Nel 2016 non arrivano più né siriani né eritrei, ma arrivano dalla Nigeria, da Ghana e dall’Africa sub-sahariana”. Manzione riserva delle considerazioni anche su Mare Nostrum e gli hotspot. Mare Nostrum che era stato presentato da moti come “pull factor” in realtà non ha disincentivato gli sbarchi, come mostrano i dati. “Nel 2015 l’operazione non c’era più, eppure ci sono state delle impennate di arrivi”. Sugli hotspot “ributta la palla” nel campo della Ravetto che ne aveva criticato in precedenza il mancato funzionamento. Manzione ricorda che gli hotspot non hanno prodotto effetti perché sarebbero dovuti andare di pari passo con la relocation, che non è mai decollata: bassissimi i numeri dei rimpatri. Manzione poi si è soffermato su uno dei pochi sistemi, previsti per i migranti, che ha funzionato: gli Sprar. La cosiddetta “seconda accoglienza” – che si tiene in piedi grazie alla collaborazione coi Comuni – permette un processo di integrazione attraverso scuola, sanità e lavoro. Luci e ombre dal convegno, ma anche una speranza: che l’Europa ad aprile abbia finalmente una visione comune, concordata e pragmatica. Questa la speranza legata al rapporto presentato da Cecile Kyenge.

Fabio Bellumore(23 marzo 2016)