“Hollywood è lontana”: racconti di una Germania tra passato e presente

Locandina del film "WIR SIND JUNG. WIR SIND STARK", fonte:www.giga.de
Locandina del film “WIR SIND JUNG. WIR SIND STARK”, fonte:www.giga.de

La nuova rassegna cinematografica del Goethe Institut, che partirà il 13 ottobre 2016, non lascia spazio ai dubbi: Hollywood è lontana anzi lontanissima dalle storie e dai luoghi di questo Paese europeo. E’ lontana dalla Germania come lo era stata nel 2007 quando “Le vite degli altri” nonostante l’Oscar come miglior film straniero, ricordò a tutti che un Paese a lungo diviso in due non poteva far altro che distaccarsi dai canoni dell’industria americana ed osservare se stesso con sguardo diverso e disincantato. Quello stesso sguardo che ora analizza con un’abilità minuziosa i cambiamenti, i nuovi volti, le nuove storie di una Germania multiforme, in continuo rinnovamento ma ancora tormentata dai suoi fantasmi.

E’ la notte del 24 agosto del 1992: Lien è una ragazza vietnamita che vive in un palazzo nella città di Rostock, abitato, tra gli altri, anche dai suoi conterranei. Stefan, è un ragazzo tedesco che ha fatto della violenza la sua bandiera, girovagando per le strade di una città in bianco e nero, insieme ai suoi amici, giovani e forti come ci ricorda il titolo del film d’apertura: “Wir sind jung, wir sind stark” (We are young. We are strong), del regista tedesco di origine afghana Burhan Qurbani. La Germania riunita è lo sfondo della violenza e del razzismo, in quella notte in cui un gruppo di persone davanti a migliaia di spettatori diedero fuoco al palazzo in cui abitavano centinaia di uomini e donne di origine straniera. Sono i fantasmi che la Germania non può e non vuole dimenticare, come quando si diverte a immaginare Hitler risvegliarsi nella Berlino del 2014 nel dissacrante “Er ist wieder da!” (Lui è tornato) di David Wnendt.

La Germania di oggi, crocevia di razze e culture, di diversità e integrazione, ma anche di pregiudizi e ostacoli. Come quelli raccontati dal regista turco Züli Aladag: “300 Worte Deutsch” (300 parole in tedesco), ossia il numero di parole che gli immigrati turchi devono dimostrare di conoscere, pena l’espulsione dalla Germania, in questa commedia amara sull’integrazione. O come quelli di “Sasha” (di Dennis Todorovic), giovane musicista, figlio di immigrati montenegrini, che cerca disperatamente un posto nel mondo e la possibilità di ammettere la sua omosessualità, in una famiglia ancorata alle tradizioni.

Il cinema tedesco non può non parlare di migrazioni, e lo fa a modo suo, come lo avrebbe fatto Wim Wenders, se solo non avesse deciso di raccontare Berlino e i suoi angeli caduti: “Lampedusa im winter” di Jakob Brossmann è la storia di un non luogo, che diventa reale agli occhi del mondo solo quando le telecamere sono accese, le luci illuminano i barconi e i turisti ci trascorrono le vacanze estive. D’inverno Lampedusa è un posto in cerca della sua identità, un posto dove i pescatori protestano, dove i rifugiati continuano ad arrivare e dove il mare scandisce ogni storia.

La Berlino di “Der Albaner” (regia di Johannes Naber) è una Berlino crudele e illusoriamente salvifica: Arben, un ragazzo albanese, ha bisogno di denaro per riscattare l’onore della ragazza che ama. Parte per la Germania ma la ricerca di un lavoro si rivela difficile: l’unica strada possibile è il crimine, in questa storia romantica dal sapore amaro, scandita dalla bellezza delle montagne albanesi.

23 titoli, tra lungometraggi e corti, che raccontano la Germania di oggi, immersa in un presente dalle mille sfumature e dai mille volti. Ma ancora desiderosa di fare i conti con il proprio passato, a volte ricordando, a volte ironizzando.

                                                                                                                                                  Elisa Carrara

                                                                                                                                           (26 settembre 2016)

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