“I corridoi umanitari sono atti provocatori”, dice Moez Chamki, mediatore culturale. “Per dimostrare alla politica che è possibile fare qualcosa invece di andare a piangere sulle spiagge di Lampedusa quando qualcuno muore in mare”. Tra febbraio e giugno 279 persone hanno raggiunto l’Europa in sicurezza e stanno seguendo un programma di integrazione che dura un anno. Altre 720 partiranno nel prossimo anno e mezzo.
Da 7 mesi l’agriturismo Casal Damiano, nella campagna di Campo Leone (Aprilia), è diventato la casa di 4 famiglie siriane, 22 persone, arrivate in Italia grazie ai corridoi umanitari del progetto Mediterranean Hope, promosso dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), dalla Comunità di Sant’Egidio e Tavola Valdese, in accordo con il Ministero degli Esteri e il Ministero degli Interni.
Casal Damiano è un posto tranquillo, anche troppo per chi ha voglia di socializzare, ma la serenità è la giusta cura per rimettere le basi di una vita in pace, dopo la guerra. I versi degli animali hanno preso il posto dei boati e i modi gentili delle proprietarie provano a compensare le maniere brusche conosciute in Libano, paese da cui sono partiti per raggiungere l’Italia.
Il primo ad accoglierci è Diya, ha 11 anni e l’esuberanza di chi vuole scoprire il mondo. Si finge timido, poi afferra la macchinetta fotografica e scatta, ci fa strada, scorazza in bicicletta e chiede: “Mangiate con noi, vero?”. Diya ha perso una gamba durante i bombardamenti, all’inizio della guerra. “Siamo stati poco in Siria”, spiega il padre Talal. “Appena hanno cominciato a bombardare Homs, abbiamo preso tutto e siamo partiti”. Con la famiglia si è trasferito in Libano, come lui un milione di siriani. “Dopo 15 giorni dal colloquio con gli operatori dell’associazione siamo partiti, per risolvere il caso di Diya, adesso siamo in attesa dell’operazione per impiantare la protesi. In Libano siamo turisti, non rifugiati. Per fortuna ci hanno aiutato le Nazioni Unite e abbiamo conosciuto l’associazione che ci ha inserito nel programma dei corridoi umanitari”. Anche Talal ha seri problemi di salute, in Italia è arrivato insieme alla moglie e a tre dei 7 figli, tra cui Hamza, 27 anni, che a sua volta ha portato con sé figlia e moglie. Un’altra figlia di Talal arriverà col prossimo gruppo dal Libano, mentre gli altri sono in Cisgiordania.
Suo figlio Hamza racconta il periodo che hanno vissuto in Libano: “Abbiamo subito tante umiliazioni. Io lavoravo dalle 8 del mattino alle 7 di sera per 17 dollari al giorno. Quando la sera tornavo, stavo attento perché avevo i documenti scaduti”. In Libano è molto difficile per i siriani ottenere dei documenti di soggiorno. Per avere il permesso per motivi di lavoro, ad esempio, devi avere un’azienda che ti assume ancor prima di entrare nel paese. “Un giorno mentre tornavo da lavoro mi hanno circondato 15 militari, uno di loro ha cominciato a picchiarmi senza dire nulla. Per fortuna il responsabile della sicurezza gli ha detto di fermarsi. Il loro esercito è misto di sunniti e sciiti. Gli sciiti ci odiano”.
La vita in Libano è complicata per un siriano: “Anche le persone per strada si comportano male, ti insultano, ti picchiano”, spiega Hamza. “E se denunci, hai sempre torto”. Andar via, ancora una volta, sembra l’unica soluzione: “Stavamo per partire via mare. Tutti i miei amici hanno raggiunto così la Germania”. Se non avesse incontrato gli operatori, anche Hamza sarebbe partito per mare. Le 3 ore di volo sarebbero state giorni di navigazione nel Mediterraneo e l’adrenalina del decollo sarebbe stata la disperazione di lasciare gli ormeggi. “Ci sono gruppi di trafficanti che ti portano dal Libano alla Turchia, e il trasporto costa 400 dollari. Puoi risparmiare questa somma se chiedi il visto in ambasciata, ma non ti conviene. Per il viaggio verso l’Europa, poi, servono altri 1000 dollari”.
Sono somme che solo i ricchi possono permettersi. Mahmud ha 32 anni ed è un altro ospite di Casal Damiano, con sua moglie e i tre figli. Stava pianificando il viaggio via terra. A piedi. “Volevo arrivare almeno in Turchia. In Libano ho vissuto i tre anni peggiori”. E riassume la sua vita fino ad oggi in poche parole: “Ero povero, poi sono diventato ricco, poi di nuovo povero. Adesso non sono né ricco, né povero. Da ragazzino giravo con i calzini di due colori diversi e le scarpe rotte. Potevamo permetterci la carne solo ogni 15 giorni. Poi sono arrivato a potermi permettere le scarpe più belle in circolazione”.
Mahmud è ancora convinto che con l’impegno puoi ottenere tutto quello che vuoi. “Ho cominciato da ragazzino a lavorare, disegnavo col cemento. Poi ho avuto incarichi sempre più importanti fino a creare una mia impresa”. Per la prima volta accenna un sorriso: “Avevo 27 anni, ho costruito una casa bellissima e potevo permettermi addirittura la macchina”. Poi è arrivata la guerra: “Tutto è stato distrutto, sotto i nostri occhi”.
Ma il peggio per Mahmud è arrivato in Libano, nel campo profughi, lontano dal conflitto: “Avevo problemi con i documenti, mi arrestavano continuamente. Mi tenevano un paio di giorni in carcere, poi pagavo e mi rilasciavano. In un anno ho speso circa 2400 dollari e non ho ottenuto nemmeno i documenti. Ho cominciato a parlare con le associazione e con le ONG, si sono interessati al mio caso, ero arrivato al punto che non potevo nemmeno più andare a lavoro perché i servizi segreti sapevano che ero in contatto con chi poteva aiutarmi”. A quel punto la partenza era diventata necessaria: “Quando sentivo che qualcuno veniva in Italia gli chiedevo di mettermi in valigia. Non avrei mai creduto di poterci arrivare davvero”. Si emoziona: “Era un sogno, ora diventato realtà. Una felicità che non posso descrivere”.
Fino ad ora sono arrivati 279 siriani grazie ai corridoi umanitari. Sulla via sicura del cielo hanno realizzato il loro sogno di pace. Per ognuno dei 279 partiti in sicurezza, non si possono contare quanti sceglieranno la via disperata e incerta della terra e del mare.
-Prima parte-
Rosy D’EliaFotografie di Marcello Valeri(2 ottobre 2016)
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