La via del lavoro: riflettere sull’integrazione con il Programma Integra

Seminario La via del lavoro.Riflessioni sull'integrazione dei rifugiati organizzato dal Programma Integra.Fonte: facebook Programma Integra
La via del lavoro.Riflessioni sull’integrazione dei rifugiati. Stefania Congia e Andrea De Bonis Fonte: facebook Programma Integra

Il lavoro come veicolo di integrazione per i rifugiati: è questo il tema intorno al quale si è riflettuto il 22 novembre scorso nel Centro Cittadino per le migrazioni, l’asilo e l’integrazione sociale, durante l’evento organizzato dal Programma IntegraLa via del lavoro: confronto sui percorsi di inclusione dei rifugiati”. Un processo che è biunivoco, complesso e che riguarda molti aspetti, economici, giuridici e sociali, come testimoniano le diverse voci che si sono susseguite: tra gli altri Mattia Vitello, ricercatore Cnr, il Presidente Extra Banca Andrea Orlandini e Nicoletta Dentico, Consigliera di Amministrazione di Banca Etica.

“Dobbiamo togliere il velo dell’ipocrisia”avverte Stefania Congia, Dirigente Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “Ci sono dei temi fondanti sulle politiche di integrazione: la scuola per i ragazzi e il lavoro per gli adulti. Senza lavoro non ci si può integrare in un Paese: senza il diritto al lavoro tutti gli altri diritti sono privi di senso. L’Europa non ha retto di fronte alla sfida delle migrazioni”. Ma non solo “Come ha sottolineato Juncker sui temi dell’integrazione e del lavoro l’Europa ha fallito”.

Allora quale modello è possibile? “E’ necessario far seguire l’accoglienza a politiche di integrazione, che funziona laddove esistono dei punti fondamentali: l’apprendimento della lingua, l’inserimento nel mondo del lavoro e il riconoscimento di titoli e qualifiche professionali. Bisogna lavorare direttamente con i rifugiati per capire i loro bisogni reali, accompagnarli all’autonomia, attraverso la valutazione di talenti e possibilità”

Se non si affranca il rifugiato dall’assistenza non si può pensare ad un processo di integrazione” sottolinea Andrea De Bonis, UNHCR “Bisogna ragionare su cinque punti. Il primo è quello di iniziare da subito il processo di sostegno all’integrazione: l’Italia prevede la possibilità per i richiedenti asilo di avere l’autorizzazione al lavoro dopo due mesi dal primo permesso di soggiorno, un tempo molto breve rispetto ad altri Paesi. Ma non basta: l’accoglienza dei richiedenti asilo deve esere finalizzata al sostegno dei processi di inclusione sociale. Così ad esempio l’insegnamento della lingua deve diventare l’attività principale, fatta obbligatoriamente da personale specializzato. Il secondo punto è velocizzare le procedure. Il terzo riguarda il sostegno dell’inserimento lavorativo e di quello scolastico, non solo per quanto riguarda le scuole ma anche per l’università. Il Ministero dell’Interno ha dedicato parte dei fondi Fami per finanziare 100 borse di studio per i rifugiati, tramite un accordo con la Crui”.

De Bonis ha poi sottolineato la necessità di sostegno alle autoimprese e della valorizzazione delle competenze dei rifugiati sempre però tenendo conto del contesto territoriale. Il quinto e ultimo punto riguarda il networking e la comunicazione, ossia “allargare la sfera dei soggetti che di solito lavorano nell’assistenza ai rifugiati e creare una narrazione diversa, finalizzata anche a contrastare gli hate speech nei media”.

                                                                                            Elisa Carrara

                                                                               (23 novembre 2016)