L’incontro organizzato da Ottobre Africano e dall’Accademia d’Egitto a Roma l’11 dicembre non ha solo visto la presenza di grandi scrittori del panorama internazionale come Dany Laferrière, Alain Mabanckou e Pascal Manoukian, ma è stata una vera e propria lezione di vita, come solo i grandi scrittori sanno dare.La lezione più importante è che per conoscere il mondo non bastano due occhi, un naso, una bocca, due mani. Per conoscere il mondo e la sua diversità occorre assaporare ogni cosa, prendersi il proprio tempo, senza fretta, senza paura di sbagliare e di inciampare negli errori. Di errori, di cadute e di assaggi vitali lo scrittore haitiano-canadese Dany Laferrière, accademico di Francia dal 2013, ne ha collezionati parecchi: fin da quando era piccolo e, come ci ricorda nel suo romanzo “L’arte ormai perduta del dolce far niente” pubblicato in Italia da 66thand2nd. Laferrière voleva ardentemente una bicicletta rossa che, però non arrivò mai. Arrivò quando era troppo tardi, quando era grande e il tempo e la storia avevano già avvelenato i desideri dell’infanzia. “Bisogna lasciarsi inghiottire dalle cose e non il contrario” ci ammonisce saggiamente, durante l’incontro.Un incontro che come ha ricordato Cleophas Dioma, direttore del Festival Ottobre Africano, è un’ulteriore occasione “per parlare di cultura africana in Italia”, per costruire una “narrazione dell’Africa” e della sua storia.“Laferrière non ci spiega il mondo ma ce lo fa vivere per com’è” sottolinea Isabella Ferretti editrice e cofondatrice di 66thand2nd “Tradurre scrittori come lui o Mabanckou in Italia, significa anche trasportarli nella nostra cultura, quella italiana, che è già haitiana, è già africana, perché ci sono italiani-africani, italiani-haitiani, italiani-armeni. Il nostro lavoro è anche quello di cercare di far capire che tutte le persone che vengono da ogni parte del mondo, ma poi vivono qui, lavorano qui, formano famiglie qui, sono italiani.” Impossibile individuare un paese che Laferrière non conosca, in cui non abbia vissuto o che non abbia raccontato.Nato ad Haiti e da 40 anni in Quebec non può evitare di parlare di migrazioni: “Sono i poveri che viaggiano in questo momento, perché costretti da situazioni eccezionali, spettacolari, di miseria, di politica, di religione, di malattia” Ed è un modo nuovo di viaggiare, un modo imperfetto, a volte drammatico. “E questo modo nuovo di viaggiare è la prefigurazione di ciò che sarà il mondo di domani”.“Quando ho parlato con Isabella” racconta il poeta e scrittore congolese Alain Mabanckou, vincitore nel 2006 del Premio Renaudot con il romanzo “Memorie di un porcospino” “ mi ha detto che voleva aprire l’Italia al mondo, perché l’Italia non conosce bene l’Africa e ciò può causare situazioni di incomprensione e di ingiustizia. Dunque a suo modo è divenuta una ambasciatrice, perché porta nel suo paese la cultura del continente africano. Sono felice di essere stato uno dei primi autori che ha pubblicato quando ha creato la sua casa editrice. Ed è che lei mi ha presentato all’Africa: un’italiana che pubblica un congolese. Questo sarà il mondo di domani in cui l’Africa può essere bianca e l’Europa essere nera. Ma chi ha il coraggio di farlo?”E di contaminazioni, di viaggi, di paesi che diventano altro parla anche il romanzo “Derive” (66thand2nd) di Pascal Manoukian, giornalista e scrittore di origine armena: la sua storia personale si intreccia con quella della migrazione, quando racconta la lunga vicenda che ha portato la sua famiglia in Francia. Una storia fatta di piccole cose, di piccoli gesti e momenti, in cui l’essere diverso è una questione di quotidianità: e così i suoi nonni, che non parlavano una parola di francese, li facevano salire su una sedia per recitare dei poemi in lingua francese che non comprendevano. “Tutto il loro orgoglio stava nel vedere che cominciavamo a parlare un’altra lingua. Nel mio libro mi interesso del futuro francofono: a tutti i giovani che sono in rotta verso la Francia, verso l’Italia, che saranno senza dubbio i francofoni di domani, i francesi che come me sono di origine straniera e che domani arriveranno con le loro famiglie senza parlare una parola di francese, lo impareranno e potranno trovarsi un giorno come me a scrivere un libro in una lingua che non è la loro, insieme a degli autori celebri”
Elisa Carrara
(13 dicembre 2016)