Il potere delle parole secondo Jonas Hassen Khemiri

Jonas Hassen Khemiri. Fonte: www.iperborea.com

 

Cosa sono le parole? A cosa servono? E’ possibile modificare la vita di una persona solo cambiando il modo in cui questa viene raccontata? Jonas Hassen Khemiri è convinto che le parole siano in grado di fornirci un’identità e che la lingua sia, più di ogni altra cosa, un modo per esprimere noi stessi. D’altronde l’autore di “Tutto quello che non ricordo” (Iperborea) che inaugurerà i Boreali Nordic Festival a Milano dal 2 al 5 febbraio è la prova vivente che la vita è solo un collage di lingue, culture ed etnie: questo giovane scrittore svedese che porta nel nome e nell’aspetto le origini tunisine paterne, ha studiato Economia a Stoccolma, e lavorato a Parigi e a New York. La sua strada sembrava tracciata: un tranquillo futuro nelle istituzioni internazionali, finchè la scrittura non è entrata prepotente nella sua vita, dimostrando a tutti che le parole sono in grado di donarci una vera e autentica identità. Un’identità non sempre facile da trovare: a volte bisogna fare i conti con i pregiudizi, altre volte occorre alzare la voce per dimostrare a tutti ciò che siamo e rivendicare la nostra cultura e la nostra etnia. Come fece nel 2013 quando scrisse una lettera aperta al Ministro della Giustizia intitolata semplicemente “Dear Beatrice”, raccontando di cosa significhi crescere avendo un aspetto diverso dagli altri, di cosa significhi essere vittime più o meno inconsapevoli di razzismo, di episodi piccoli e grandi a cui a volte neppure facciamo caso, ma che in realtà sono il sintomo di qualcosa che non va. Che non va dentro di noi: perché, precisa Khemiri, il razzismo o l’intolleranza non sono altro da noi, ma vivono e crescono nei nostri corpi, nei nostri gesti, nelle nostre parole. Li nutriamo con cura, a volte ignari di crescere dei mostri. Come si combatte tutto ciò? Come togliere la linfa vitale ai pregiudizi, alle intolleranze nascoste, alle vite disegnate sugli stereotipi? Attraverso le parole e i racconti autentici di chi queste vite le ha viste e conosciute da vicino, senza filtri o inganni. E così la vita spezzata precocemente di Samuel, protagonista di “Tutto quello che non ricordo” viene raccontata dalle mille voci di chi l’ha conosciuto: il migliore amico, la fidanzata, la nonna, e tutti quelli che l’hanno incontrato lungo la strada, raccontano la loro versione di Samuel. Una versione a volte amara, a volte comica, a volte così radicalmente diversa da non sembrare neppure appartenere allo stesso uomo. Ma il bello è proprio questo: non è mai possibile dare un giudizio univoco su una persona, sul suo aspetto, sulla sua vita. L’unico modo per sapere chi è, è conoscerlo.

 

Elisa Carrara

(18 gennaio 2017)