Roma e il “paradigma plurale” delle religioni: un incontro possibile?

Molte le comunità e le religioni presenti a Tor Pignattara: donne bangladesi (foto Ilaria Moretti)
Molte le comunità e le religioni presenti a Tor Pignattara: donne bangladesi (foto Ilaria Moretti)

Il Professore Alessandro Saggioro, storico delle religioni e direttore scientifico del Master in “Religioni e mediazione culturale” presso l’università La Sapienza, illustra la sua ricerca sul pluralismo religioso a Roma: “Superdiversità religiosa e applicazioni romane: il paradigma plurale”.

Il multiculturalismo e il complesso rapporto tra le differenti comunità religiose presenti nei contesti urbani sono temi sempre più sensibili nella contemporaneità: la compresenza di diverse fedi in un dato territorio rappresenta la chiave del pluralismo religioso, ma allo stesso tempo in larga parte dell’opinione pubblica genera diffidenze, timori e nel peggiore dei casi allarmismi.

La ricerca si focalizza sul quartiere multietnico di Tor Pignattara, nel quale la diversificazione religiosa è notevole e le dinamiche sociali del territorio oscillano tra il processo di place keeping e quello di place making, concetti che in sociologia indicano rispettivamente la necessità di una comunità “storica” a mantenersi e a consolidarsi in un territorio e la spinta di nuovi gruppi alla creazione di un proprio spazio, come accade per le comunità migranti apparse più recentemente. In questo preciso momento storico – nel quale il dialogo con l’altro, sempre più difficoltoso,  annaspa di fronte alle nuove ondate populiste della politica nazionale e internazionale –tali fenomeni appaiono spesso come un dilemma insolubile.

Ma non bisogna dimenticare che in una prospettiva storica la città di Roma è stata uno spazio decisamente “pluralistico” a livello religioso fin dall’era del Cristianesimo antico, quando la città eterna, già meta di migrazioni, offriva uno scenario diversificato e ricco di sfumature, di fronte alla apparente staticità del fenomeno religioso,identificato con il Cristianesimo.

Nei primi secoli dell’era cristiana il pluralismo religioso si è basato su una prima fase di apertura e di inglobamento di nuovi sistemi di valori, a cui ne è seguita una successiva, fondata su intolleranza e persecuzioni, dopo l’acquisizione del Cristianesimo come religione di Stato alla fine del IV secolo.

Proiettando il discorso storico sulla contemporaneità, oggi come allora il rapporto con le diversità culturali e religiose produce spesso una prevaricazione sulle minoranze e un bisogno di mantenere l’ordine precostituito e l’identità maggioritaria intatti. Tuttavia, il processo di globalizzazione che ha portato all’affermazione in Europa di una “super-diversità” religiosa ha rimodulato i processi di negoziazione e convivenza tra religioni diverse, soprattutto nei centri urbani, che a loro volta si sono modificati ospitando nuovi luoghi di culto: moschee, templi, ma anche magazzini e garage adibiti alla preghiera. Come sottolinea il Professor Saggioro, l’Italia – e in particolare Roma – costituiscono dei punti privilegiati per l’osservazione della diversità religiosa in rapporto col territorio urbano: al contrario di quanto accade in altri paesi europei, dove le politiche hanno favorito un’emersione della pluralità religiosa, nel nostro paese “l’impreparazione istituzionale rispetto a questi fenomeni ha prodotto la sostanziale invisibilità pubblica di una super-diversità religiosa che esiste invece nei fatti”.

Ed è con lo scopo di capire la complessità di queste nuove realtà che nasce un progetto ambizioso, unico nel suo genere in Italia, ovvero il Master in “Religioni e mediazione culturale”: un percorso di studio e di esperienze sul campo per formare degli esperti nei settori del giornalismo, dell’insegnamento, della mediazione culturale, e molto altro. L’obiettivo finale è quello di fornire gli strumenti necessari per comprendere le differenze culturali e religiose per far diventare finalmente visibile la ricchezza della diversità.

Elisabetta Rossi

(7 Febbraio 2017)